Lavoratori transfrontalieri, mille difficoltà e richieste di tutela

Come è ormai purtroppo noto, il diffondersi inarrestabile del Coronavirus, oltre a mietere numerose vittime e a mettere in ginocchio il sistema sanitario italiano, sta al contempo infliggendo un duro colpo alle casse dello Stato e dei soggetti privati, soprattutto dei lavoratori autonomi.

Proprio per ovviare, per quanto possibile, a queste difficoltà, il Presidente Giuseppe Conte ha varato il decreto significativamente denominato “Cura Italia”.

Questo atto prevede lo stanziamento di ben 25 miliardi di euro volti a sostenere imprese, lavoratori e famiglie del paese, con l’obiettivo di aiutare queste categorie a superare un momento di crisi così complesso.
Tra le misure comprese nel provvedimento, spiccano i 10 miliardi finalizzati a costituire la cassa integrazione, lo slittamento delle scadenze fiscali Iva e Irpef e la sospensione delle rate del mutuo sulla prima casa limitatamente a vantaggio di coloro che non stanno ricevendo regolarmente lo stipendio in questi giorni di blocco quasi totale del settore produttivo.

In chiusura, Conte ha anche annunciato il rilascio di un unico assegno da 600 euro in favore dei lavoratori, puntando ad ammortizzare in qualche modo il crollo di introiti che questi ultimi stanno, loro malgrado, affrontando.
Tuttavia, vi è anche un’altra categoria di professionisti che sta avvertendo notevoli disagi a causa dell’emergenza legata al Covid-19: quella dei lavoratori transfrontalieri.

I lavoratori transfrontalieri sono soggetti che svolgono le proprie mansioni in uno Stato diverso da quello di residenza e che, di conseguenza, necessitano di spostarsi aldilà dei confini italiani su base quotidiana. Questa pratica è resa ovviamente molto più difficile, se non talvolta impossibile, in un periodo storico come quello attuale, durante il quale i movimenti, soprattutto quelli al di fuori del comune di abituale residenza, sono visti con sfavore e dunque fortemente sconsigliati.

Pertanto, in molti casi i datori di lavoro hanno chiesto nelle ultime settimane ai propri dipendente di non tornare a casa e restare all’interno del territorio in cui è situato lo stabilimento (Francia e Svizzera su tutti, per ovvie ragioni geografiche), così da poter continuare ad espletare le proprie funzioni senza particolari problemi.

Tra le persone che hanno acconsentito a queste richieste vi sono sia i lavoratori che vedrebbero altrimenti sospeso il proprio stipendio, sia i medici e gli infermieri che prestano la propria opera presso le strutture mediche pubbliche e private delle nazioni confinanti e che quindi risultano, ora più che mai, fondamentali.

Il punto dolente della situazione è che i datori di lavoro non riescono chiaramente ad assicurare una stanza singola per ciascun transfrontaliero per tutta la durata della “trasferta professionale”. Da ciò consegue che la maggior parte di questi lavoratori stia trascorrendo le ore libere in spazi condivisi con altri colleghi, in barba a qualsiasi misura anti-contagio.

Per quanto appaia ad oggi difficile trovare una soluzione a riguardo, è essenziale ribadire l’importanza di predisporre tutti i mezzi necessari per assicurare il massimo livello di sicurezza per tutti coloro i quali si trovano a dover continuare a svolgere le proprie prestazioni di lavoro anche in un contesto così carico di rischi.

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