COME SOPRAVVIVERE A UN ATTACCO DI CUORE QUANDO SI E’ SOLI

COME SOPRAVVIVERE A UN ATTACCO DI CUORE QUANDO SI E’ SOLI

Innanzitutto bisogna riconoscere quanto sta accadendo cercando di rimanere lucidi: Si può presentare come un dolore è al petto, ma può partire anche dalle spalle, accompagnato da altre sintomatologie quali pesantezza nel petto, bruciore ed intorpidimento generale,  dolore che si espande su braccio e mascella. Spesso c’è difficoltà respiratoria, nausea o vertigini, debolezza e battito cardiaco rapido. Le estremità, mani e piedi possono essere freddi.

Poiché molte persone sono sole quando subiscono un attacco di cuore e senza aiuto, quando si accorgono che  il cuore batte in modo improprio e che inizia a sentirsi svenire, si devono assumere  comportamenti che possono  aiutare fino all’arrivo dei soccorsi.

L’Infarto: è causato da una malattia delle coronarie, cioè le arterie che portano sangue al cuore.Con il tempo aumentano i depositi di colesterolo sulle pareti delle coronarie portando alla formazione di placche che riducono l’apporto di sangue.
La rottura di una placca di colesterolo provoca la formazione di un coagulo (trombosi) con conseguente sofferenza del muscolo cardiaco nutrito da quel vaso (infarto miocardico acuto).

In caso di infarto, chiamare subito 112/118. Evitare di mettersi alla guida (con il rischio di peggiorare la situazione o diventare un pericolo per la sicurezza anche delle altre persone in strada).

Ci sono manovre da poter eseguire per superare la crisi cardiaca? In tal senso ci sono teorie contrastanti sull’eseguire o meno determinate azioni che dovrebbero aiutare nel momento di crisi cardiaca… “Provare a tossire ripetutamente e con forza”. Azione definita inutile e controproducente. il sistema di “automassaggio cardiaco” non è sempre visto quale metodo efficace. Un respiro e un colpo di tosse devono essere ripetuti circa ogni due secondi senza interruzione finché non arrivano i soccorsi o finché non si avverte che il cuore batte di nuovo normalmente. I respiri profondi portano ossigeno ai polmoni e i movimenti della tosse comprimono il cuore e mantengono la circolazione del sangue. In questo modo, le vittime di infarto possono forse guadagnare tempo prezioso. Tale comportamento però potrebbe essere utile solo in situazioni estreme – arresto cardiaco – e sotto controllo medico, altrimenti potrebbe causare artmie che peggiorano il quadro generale.

Far tossire è indicata quindi come comportamento a dir poco, pericoloso se fatto da soli. Il dolore  è il segno principale, definito angina pectoris, generalmente retrosternale, oppressivo, che si manifesta anche verso il collo, la mandibola, le braccia, il dorso, di intensità variabile, di durata limitata (inferiore a 15-20 minuti).

L’infarto  non porta necessariamente all’arresto cardiaco, il tossire potrebbe trasformare un leggero attacco cardiaco, in un’aritmia cardiaca letale.

La cosa migliore per garantire un’ossigenazione continua e per abbassare il battito cardiaco, è quella di respirare lentamente. Se possibile masticare un aspirina (massimo 300mg), che aiuta ad evitare la formazione di coaguli, in questo modo si può ritardare l’occlusione delle coronarie. Sdraiarsi sulla schiena e sollevare le gambe, evitare di mangiare e bere, cercare di restare calmi per evitare di affaticare ulteriormente il muscolo cardiaco.

Speriamo arrivi presto l’ambulanza

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Le malattie cardiovascolari si confermano prima causa di morte in Italia, responsabili di circa il 40% di tutti i decessi, e negli ultimi anni hanno ripreso a correre dopo una fase di deflessione della loro incidenza. Questi dati, uniti alle dinamiche demografiche che vedono l’Italia come il secondo Paese più anziano del mondo, impongono l’esigenza di apportare modifiche nel percorso clinico dei pazienti cardiopatici.

LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI IN AUMENTO – Negli ultimi anni un’efficiente organizzazione sanitaria, grazie a strutture come le Unità di Terapia Intensiva Cardiologica e i laboratori di emodinamica, era riuscita a garantire un buon controllo delle patologie cardiovascolari e quindi anche una riduzione della mortalità complessiva; tuttavia, gli ultimi dati consegnano un quadro nuovamente allarmante, con aumento delle cardiopatie ischemiche, dell’insufficienza cardiaca, degli stroke.

Stiamo assistendo a una nuova impennata delle patologie cardiovascolari, che è destinata ad accentuarsi nei prossimi anni –  sottolinea il Prof. Francesco Vetta – La prevalenza della Fibrillazione Atriale, ad esempio, era dell’1% all’inizio degli anni 2000, attualmente è del 2% e si stima che possa raddoppiare entro il 2050. Le patologie cardiovascolari, pertanto, sono destinate a rimanere la principale causa di morte nel nostro Paese, visto anche il rapporto di causalità tra l’età e queste malattie, che si inserisce su una popolazione in continuo invecchiamento. Nelle persone con più di 70 anni, infatti, in oltre l’80% dei casi ci sono più di tre comorbidità. Lo scompenso cardiaco, ad esempio, è una patologia prettamente geriatrica e in Italia ne soffrono circa 600mila persone: la sua prevalenza è dieci volte maggiore nella popolazione over 80 rispetto alla classe di età 40-59 anni; nel 98% dei casi è accompagnato da altre comorbidità. In base a questi dati si intuisce la necessità di intervenire in maniera sistematica con programmi di screening cardiovascolari nei soggetti con più di 65 anni, mentre invece ad oggi questi si fermano intorno ai 50 anni”.

UN’ITALIA SEMPRE PIÙ VECCHIA – I dati ISTAT rilevano che tra il 1880 e il 2020 c’è stato un incremento della popolazione da 30 a 60 milioni di abitanti, ma le proiezioni sul periodo che va dal 2020 al 2070 delineano una riduzione di oltre 10 milioni di persone in virtù del rapporto tra nascite e decessi, che lascia pensare a un Paese sempre più anziano. “Oltre alle patologie cardiovascolari, aumenteranno anche i soggetti anziani su cui queste si innestano – evidenzia il Prof. Francesco Vetta – Servono dunque percorsi di prevenzione con un approccio multifattoriale e una serie di programmi dinamici di screening gratuiti per i soggetti over 65. Queste iniziative non devono essere sporadiche, ma devono essere strutturate in un percorso sanitario, che possa garantire la tutela della salute e parallelamente anche un risparmio economico per il SSN, che può essere garantito da una riduzione di comorbidità e disabilità. Si pensi infatti che in Italia le disabilità sono pari a circa 4 milioni, ossia l’8% delle persone sono disabili, mentre la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4 per mille, con capacità di incidere sulla spesa farmaceutica per quasi il 25%. Abbiamo necessità di sviluppare una prevenzione della disabilità”.

 

 

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