Lo squillo [Racconto]

Telefonosip

E’ veramente un attimo perdere il filo della matassa. S’interrompe e si riannoda in pochi impercettibili istanti. La memoria, i ricordi riescono a tranciare la razionalità in qualsiasi momento, qualsiasi cosa tu stia facendo. Ho composto il numero di casa. Non ho fatto il numero della mia casa. Ho fatto il numero di quella che era stata casa mia per trent’anni, dove non ci abita più nessuna delle persone che normalmente vi risiedeva. Mentre componevo il numero mi immaginavo il mobile dove stava il telefono. Un tempo era  quello grigio con la rotella, poi quello rosso con la tastiera e infine la base del cordless. Mi immaginavo la luce che passava dalla finestre attraverso le tende e colpiva il mobile in noce e i libri rossi dell’enciclopedia. Al suono, allo squillo c’era sempre qualche attimo d’attesa, perché magari c’era la televisione accesa in cucina che copriva il trillare. Mi riesco ancora ad immergere nel ricordo della pentola a vapore che sbuffava, dei vetri appannati e del profumo che proveniva già dalle scale quando tornavo da scuola. La scena di quella cucina mi accompagnerà per sempre, dalle bottigliette degli “aromi” posti in una sorta di bacheca vicino al frigorifero normalmente riempiti di raccolti naturali essiccati, che usati rimanevano sempre in tavola. Quando entravo in casa c’era sempre in bellavista la tavola da stiro  con  sopra montagne di vestiti. Al tempo non ci pensavo a quale scocciatura fosse lavare, stendere e stirare ogni volta e con cura. La mattina spesso quei vestiti lavati e bagnati passavano dalla mia camera in tinozze profumate di bucato per essere stese sul balcone al quale si accedeva dalla mia stanza, e così entrava il fresco del mattino e il profumo delle piante del giardino della scuola davanti casa, il cinguettio degli uccelli e il rumore della vita che scorreva nelle strade.

La cucina però è sempre stata l’area di maggiore vita di casa. Mi ricordo il disegno delle mattonelle a terra e il rumore di quelle messe a toppa che nel tempo stavano staccandosi. Il mobile funzionale in formica bicolore e la macchina del gas enorme e con tanti fuochi sempre pronti a preparare squisitezze. La cucina era  il punto di ritrovo, di raccolta, di vita in comunione. Li si mangiava, parlava, discuteva e studiava. Alla sera, d’inverno con la sedia poggiata sul termosifone ci passavo le ore a ripassare e leggere e distrarmi in sogni lontani da quella realtà.  Studiavo e avevo la compagnia di chi oggi non mi ha risposto a quel numero. Avevo la presenza premurosa di chi mi ascoltava la lezione e me la faceva entrare in zucca. C’era sempre lei con cioccolata e vino rosso anche all’Università a condividere momenti d’ansia. Su quella sedia vennero comunicate decisioni, vennero festeggiati momenti e ricordate cose ormai eco nella mente. Quanti brindisi in cucina… A Pasqua si aprivano con le testate le uova di cioccolata e si rubavano le mandorle sopra le colombe, insieme ai nonni e ai parenti più vicini. Nella stessa cucina ho invitato a pranzare  la mia ragazza, con un famoso piatto umbro che prevedeva ricotta e noci.

tel

C’era il Telefono all’ingresso che ascoltava tutte le confidenze del periodo in cui non esistevano i cellulari e si stava le ore a raccontarsi e scoprirsi e sperare in appuntamenti. Questo però di telefono non aveva la suoneria, o meglio era staccata a favore del suono più tradizionale della mia stanza. Anche nella Camera da letto c’era un piccolo telefono, di quelli che per un periodo, una nota azienda che produce detersivi, regalava dentro al suo fustone in polvere. Uno piccolo, rosso e nel quale non si sentiva nulla, ne l’interlocutore riusciva a sentire. Tre telefoni in tutta casa, poi spazzati via dall’arrivo del cordless.

Insomma comunque, non c’è stata risposta, quella casa, quelle porte coi vetri lavorati, coi marmittoni, di cui uno in salone si muoveva, che aveva una bellissima luce al mattino e trasmetteva serenità e sicurezza ha chiuso le porte, come si è chiusa una parte delle nostre vite. Lasciarla è stata una scelta d’amore per stare più vicini. I genitori hanno seguito figli e nipoti e lasciato una casa grande per una più piccolina.

Il mio cuore è restato li. Forse è sciocco, ma i ricordi più belli sono legati a quelle mura, alla mia stanza da gioco, da studio, da amore. In quella casa ho portato i miei figli. Vederli camminare e giocare li mi riempiva di gioia e  dava il giusto senso alla prosecuzione. Dal 2010 abbiamo lasciato quella che era stata la realizzazione del sogno dei miei genitori. Il posto dove si muoveva un frugoletto col seggiolone sul balcone dei filmetti superotto sbiaditi. Abbiamo messo dietro di noi tante emozioni, ricordi, gioie e guardato ad un futuro che speravamo altrettanto pieno di calore. Purtroppo non è stato tutto così. Si è interrotto troppo presto un desiderio che sembrava potersi realizzare e solo in parte può vivere.

Oggi sono più solo, il telefono non potrà più squillare e sopratutto non potrò più sentire quella voce.

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