Riscopriamoci nei giochi dei nostri bambini con l’influenza #giocareinsieme

norovirus_childrenUn’influenza significa innanzitutto niente scuola. Per la gioia dei più piccoli, malgrado i due rossi stampati sugli zigomi, gli occhi mezzi chiusi e gonfi, con la febbre che non accenna a scendere, per loro è una festa, per noi genitori un po’ meno, ma poi…

Questo vuol dire non andare in ufficio e con ciò – almeno un semplice impiegato come me – significa dover rinunciare ad un’indennità di presenza giornaliera, un buono pasto e il compenso completo, data che l’età del mio cucciolo supera gli anni per cui una percentuale viene comunque erogata in busta paga. Quantificata in denaro diventa una somma che sarebbe meglio in tasca piuttosto che nelle casse del datore di lavoro. Detto ciò, che comunque non cambia la situazione oggettiva, mi ritrovo così a fare lo scrittore a tempo pieno fino a che non si sveglia. L’influenza ha di buono che lo stordisce almeno fino alle 10.00, almeno dovrebbe, almeno un tempo era così.

In effetti già la mattina- normalmente – per portarlo a scuola è una lotta tra lui e il cuscino e tra me e lui. Di solito, dopo il terzo strillo riesco a richiamare la sua attenzione. Ciò non accade il sabato e la domenica che puntualmente alle 8.00 sono dentro al lettone di mamma e papà. Che poi – diciamocelo – per quegli anni ancora che potranno voler venire, c’è solo da goderseli e giocarci. In effetti tra solletico e chiacchiere non ci alziamo prima delle nove. Chissà con l’influenza… Alle 8.30, ovviamente è in piedi. “Niente scuola?” “no amore hai la febbre”, “E tu niente lavoro?” “No amore sto con te”. “Evvaiiiiii!!!!”. “Allora coccole e giochiamo tutto il giorno”… “si amore…”

La sera prima, appena diagnosticata la presenza del virus influenzare, per salvaguardare l’altra piccola di casa e per accudire al meglio il malato, il primo a perdere il  proprio posto nel letto è il papà, cioè io, sbattuto fuori. Non tutti i mali vengono per nuocere – anche in questo caso – e con l’occasione, me ne sto nel letto singolo vicino all’altro cucciolo di casa… mica male.

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Il primo giorno di lavoro come papà infermiere consiste nel preparare la colazione, giocare con i Lego Star Wars, preparare la televisione con il film in camera da letto (sempre nel lettone) che deve ospitare oltre al malato e a tutti i possibili pupazzi e giochi da tavolo, anche me. Il film – ovviamente – è sempre uno della saga di Guerre Stellari, che lui sa a memoria per ogni battuta e scena molto meglio di me.

C’è poi il pranzo, leggero e caldo da servire al letto – in caso di febbre alta – oppure in tavola, ma solo se la mamma (il primario) da il consenso. La misurazione della febbre deve essere effettuata, alla sveglia, a pranzo, pomeriggio e sera. Le variazioni termiche possono prevedere un innalzamento nel primo pomeriggio e alla sera. Per i primi tre giorni  le medicine saranno quelle tipiche dell’automedicazione, dopodiché si passerà al pediatra.

Dopo il pranzo ci dedichiamo ad una bella partita a dama (che sono almeno quattro partite, con rivincita, ri ri vincita, e rivincita – chi-vince-questa-vincetutto) e possibilmente ad una leggera pennica (questo è uno dei vantaggi dello stare a casa che prediligo). Dopo la dama si passa alla riesumazione giocattoli dimenticati. Con la scusa di eliminare i giocattoli che non si usano più per portarli in parrocchia ai bambini che non hanno giochi, si apre la cassapanca e si comincia: la pista delle macchine radiocomandate con cui non giochi mai. La casetta delle bambole della sorellina, dimenticata e impolverata. Il mini gioco da tavolo – ormai dimenticato da tempo. Le quattro o cinque moto radiocomandante incastonate tipo legna, con le quali non si può fare neppure un fuoco. Un tuffo nel passato in giochi messi da parte.

D’un tratto scorgo tra tutte le cianfrusaglie una scatoletta trasparente con dentro una macchinetta rossa e una armonica e gli chiedo con sguardo incuriosito la sistemazione anomala. Lui con occhi sgranati e lucidi mi risponde che sono in quella scatola (che per lui è una postazione privilegiata) perchè sono i miei giocattoli di quando io ero piccolo. Effettivamente si tratta della mia macchinetta preferita, di quando anch’io, alla sua età, giocavo in fantastiche corse, della armonica che mi aveva regalato mia nonna ed io poi a lui. Li teneva in un posto speciale, quasi a volerli preservare perchè oggetti speciali. Quello strano sguardo, quasi sognante  e quel sorriso dolce influenzato mi ha davvero commosso. E’ stato così che abbiamo giocato tutto il resto della giornata. Siamo passati alla wii e poi ancora al gioco “del rifare i letti”, poi cotti i pop-corn ci siamo sbragati sul divano  a leggere dei libricini. Il lavoro e gli impegni e la mancata remunerazione non ha il valore di una coccola. Altro che baby-sitter, c’è papà!

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