Decreto Dignità e gioco d’azzardo, storia di un cambiamento sempre uguale

Il Decreto Dignità si pone come il primo, vero grande cambiamento nel settore del gioco d’azzardo. Questo almeno è il modo in cui il nuovo governo Lega-5 Stelle ha presentato il piano per contrastare il gambling, nella speranza di ridurre il problema della ludopatia e le spese sanitarie. Un cambiamento che, rispetto a quanto proposto dai governi precedenti, ha per lo meno diversi punti in comune.

Una delle novità più importanti della leggeprevede un aumento del prelievo fiscale sulle slot machine. Decisione contestatissima dai gestori e dagli addetti ai lavori, che rischiano di perdere un quantitativo di denaro importante per la loro fetta di guadagno di business. Ma lo Stato è irremovibile, nella convinzione che far chiudere qualche slot machine possa soltanto portare giovamento alla salute dei nostri cittadini. Un provvedimento in realtà decisamente in linea con quanto fatto dai predecessori dell’attuale governo: sia Gentilonisia, prima ancora, Renzi, avevano già aumentato la percentuale di prelievo sulle vincite. Quest’ultimo aveva anche preparato un piano per la diminuzione degli apparecchi sul territorio italiano, per quanto non siano poi stati resi noti i dati ufficiali di una riduzione prevista del 31,9%. Allo stesso modo proposte come il logo “no slot” rimangono nel segno di quanto proposto in passato, in un’idea non certo particolarmente innovativa.

Non cambia neppure la concezione economica che si nasconde dietro al decreto: lo Stato deve continuare a guadagnare dal settore. Oltre all’aumento della pressione fiscale, si noti che il divieto assoluto della pubblicità esclude la lotteria di dominio nazionale. Stangata quindi ai casinò online AAMS italiani, occhiolino a una delle attività più redditizie per il nostro Stato. Un’attenta lettura del decreto può inoltre far constatare come il governo si tenga aperte le porte per un ulteriore intervento nel prossimo futuro: entro sei mesi è prevista un’ulteriore modifica dell’industria del gioco d’azzardo nel nostro Paese. Anche in questo caso, la questione dei costi deve risultare fondante. I dati diramati dallo Stato sul costo sanitario della ludopatia risultano imprecisi, e il sospetto che non tutti siano utilizzati in modo efficace persiste.

Il valore della pubblicità nel comparto gambling sembra poi essere stato sopravvalutato dal nuovo governo. Il numero di giocatori in Italia si è mantenuto pressoché costante negli ultimi anni, dopo lo scossone che aveva subito nel 2011 con la legalizzazione dell’online. Anche i casi di ludopatia riconosciuti rimangono pressoché nello stesso numero, pur con i tanti servizi offerti ai giocatori problematici. Il rischio, nel togliere la pubblicità, è diminuire la consapevolezza dei rischi e dei vantaggi di un’offerta di gioco legale. Gli spot venivano infatti costruiti sicuramente per convincere, ma anche per informare il potenziale pubblico. Un’utenza male informata è più facilmente soggetta al fenomeno del gioco compulsivo, rimanendo per di più esposta ai siti illegali. Un cambiamento, questo sì, che rischia di tornare indietro di decenni rispetto agli ultimi passi avanti effettuati nei confronti dei gestori clandestini. Le mafie locali aspettano da anni una nuova spinta al proibizionismo per entrare in scena.

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