CPI e i crimini di guerra in Libia

I conflitti armati sul territorio libico imperversano senza sosta ormai da anni e la situazione continua a non promettere nessun miglioramento per il prossimo futuro.

Proprio a questo riguardo però, negli ultimi giorni, importanti novità provengono dalla Corte Penale Internazionale, nello specifico dall’ufficio della Procura.

Infatti, secondo quanto annunciato dalla procuratrice Fatou Bensouda, le autorità dell’Aia stanno focalizzando la propria attenzione su quanto è avvenuto – e avviene tuttora- in Libia. Bensouda ha dichiarato che sotto la propria lente di ingrandimento vi sono i forti e ragionevoli sospetti circa la perpetrazione di crimini di guerra e di sistematiche atrocità sofferte da migranti e profughi.

Pertanto, se dovesse essere provata la natura sistematica di tali atti, ecco che gli accusati sarebbero ritenuti responsabili anche di crimini contro l’umanità.

Per scendere un po’ più nel dettaglio, nel rapporto stilato dalla procura possiamo leggere che gli investigatori della Corte Penale Internazionale, nell’ambito delle loro indagini, sono riusciti ad addivenire a decisive scoperte circa la commissione di efferati crimini quali la detenzione arbitraria, l’uccisione non giustificata da necessità militari, sparizioni forzate e innumerevoli stupri e altre violenze di genere.

Le osservazioni della dottoressa Bensouda individuano specialmente i membri delle forze armate guidate dal generale Haftar quali responsabili di feroci e cruenti attacchi sferrati ai danni delle popolazioni civili o comunque non impegnate più nel conflitto (i cosiddetti hors de combat). Tra le molte violazioni di questo tipo, assumono particolare gravità le operazioni militari riguardanti gli ospedali del luogo.

Appare utile chiarire che quanto esposto dalla procuratrice è stato rivolto, in videoconferenza, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in ottica dell’attivazione, da parte di quest’ultimo, del procedimento di referral previsto dallo Statuto di Roma.

Infatti ricordiamo brevemente che il Consiglio di Sicurezza, agendo all’interno dello scopo di tutela e mantenimento della pace, ha la possibilità di estendere la giurisdizione dei giudici dell’Aia anche su crimini commessi sul territorio di Stati non membri o su crimini perpetrati da soggetti provenienti da uno Stato non membro.

Questa eventualità non deve però creare eccessive illusioni circa la certezza del raggiungimento della giustizia. È facilmente intuibile comprendere che a livello internazionale risulta spesso molto complicato raccogliere le prove necessarie all’instaurazione di un giudizio, in special modo se lo Stato in cui le indagini devono essere svolte non si rivela troppo collaborativo. E la Libia certo non sembra avere molta intenzione di facilitare il di per sé complesso incarico delle autorità della Corte.

Inoltre, storicamente la Libia non ha mai acconsentito a consegnare davanti al tribunale i ricercati, complicando ancor di più, se possibile, il lineare procedere della macchina giudiziaria.

Per tutti questi motivi non resta che attendere l’evolversi della vicenda, con l’auspicio certamente che possa essere fatta finalmente giustizia per tutte le vittime delle atrocità perpetrate nello Stato africano, senza però perdere di vista la realtà delle cose, la quale realtà renderà verosimilmente il lavoro della Cpi molto difficile e insidioso.

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