Phubbing? Quando trascuriamo chi sta con noi per controllare continuamente il cellulare

Più o meno possiamo definirla la malattia del secolo: stare in mezzo alla gente ma senza starci veramente perché la nostra attenzione è catturata da chi sta al di là del nostro smartphone. Se ne parla da tanto della dualità che esce fuori dall’utilizzo di app e social network per rimanere costantemente in contatto con i nostri amici online, trascurando però troppo spesso chi abbiamo davanti. Nel 2013 è nato anche un termine per descrivere questo atteggiamento poco consono che ci porta a trascurare i nostri interlocutori sempre e comunque per controllare in modo compulsivo il cellulare ogni cinque minuto (se va bene). Si chiama Phubbing e di sicuro ci capita spesso di farlo o quanto meno di stare insieme a persone che lo fanno.

Molti studi hanno analizzato gli effetti dell’utilizzo del cellulare con le modalità attuali e quello che ne è uscito fuori è proprio che avere sempre lo smartphone acceso davanti alla faccia sia deleterio per i rapporti interpersonali, andando a perdere interesse per i rapporti interpersonali. Sembra un controsenso: cercare di rimanere il più possibile connessi con gli amici virtuali e perdere di vista quelli che abbiamo di fronte. Eppure è così. In base ad una ricerca particolare si è visto come il 36,6% dei volontari non si vedeva riconosciuta la giusta attenzione dal proprio partner e che il 22,6% ha appunto vissuto problemi di relazione.

Diventa così un vero e proprio abuso patologico dello smartphone ed è stato analizzato nello specifico in uno studio sugli effetti collaterali del phubbing realizzato da Meredith David e James A. Roberts della texana Baylor University’s Hankamer School of Business.

La conclusione ha del grottesco: chi subisce il phubbing, viene quindi trascurato per colpa dello smartphone utilizzato in modo compulsavo al posto di dare attenzione, a sua volta tende a rifugiarsi a sua volta nello smartphone. Questo per ricercare attenzione che gli viene negata dal proprio partner, ma anche da amici, parenti e interlocutori in genere. Il rifiuto di persona viene così schiacciato dalla ricerca di autostima sui social grazie ai like e ai commenti degli amici virtuali in un vero e proprio circolo vizioso.

Modalità di interazioni differenti quindi da un tempo. Laddove un individuo subisca phubbing e si sente quindi socialmente escluso, ha una forte necessità di attenzioni. Il lato negativo è che invece di ricercarlo nella persona che ha davanti, ricercando quindi l’inclusione nel rapporto, si tende a dirigersi verso i social network per ricercare un senso di appartenenza, più facile e immediato.

Da qui a finire in linee depressive e di stress ci vuole poco. Ma non bisogna sottovalutare però che per la metà dei volontari che hanno preso parte a questa indagine, Facebook e i social network in generale sono comunque da considerarsi come un miglioramento della vita. Per salvarci e salvare chi abbiamo intorno, secondo gli esperti, bisogna quindi creare una zona libera da cellulari , imponendo orari e da condividere con chi abbiamo intorno. Evitiamone l’uso ad esempio in camera da letto o a tavola, dopo cena, quando usciamo con gli amici e via dicendo e se non ci dovessimo riuscire facciamo aiutare anche in questo caso dalla tecnologia grazie alla app che monitorano l’utilizzo che facciamo dello smartphone come ad esempio Break Free, Moment o Quality Time.

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