Recensione: Nick Cave & Warren Ellis – Carnage

Ad assoluta sorpresa, è stato pubblicato il 25 febbraio 2021 il nuovo disco di Nick Cave e Warren Ellis, intitolato Carnage. Come detto, ben poca preview ha anticipato l’uscita, per non dire alcuna. Dei retroscena del disco infatti si sa ben poco, se non che è stato registrato e ideato durante i periodi di lockdown di quest’anno, periodo in cui, a detta di Cave, le sue attività si sono concentrate soprattutto sulla riflessione seduto al balcone di casa, sul ruolo dell’artista e su come l’artista in quanto tale potesse essere di beneficio alla comunità nei momenti di difficoltà.

Ne è uscito un altro album splendido, che tocca picchi propri del Nick Cave più puro e che, rispetto ai più recenti lavori dell’artista australiano, si presenta con un suono più pulito ed “educato”. Parola d’ordine rimane però quella della solennità, che gioca un ruolo centrale durante l’intero corso del disco, dalla durata di 40 minuti complessivi, suddivisi in 9 brani. Mi sto riferendo nel corso della recensione soprattutto a Cave, ma è immenso l’apporto di Warren Ellis, parte dei Bad Seeds dal 1994 e collaboratore di Cave anche nei Grinderman. In alcuni brani, le soundscape da colonna sonora e gli strumenti propri di Ellis rubano la scena a 360 gradi, come accade ad esempio in White Elephant.

A parlare del processo creativo del disco è stato soprattutto quest’ultimo, che ha voluto sottolineare come sia stato assolutamente rapido e intenso, affermando che lo scheletro di otto delle nove canzoni totali era presente già in due giorni e mezzo. Un dato che attesta il lato positivo degli eventi dell’anno appena trascorso e anche, se ve ne fosse bisogno, del genio dei musicisti coinvolti.

A fare da contraltare alla semplicità ed alla pulizia del suono, è un turbine di emozioni presente sia nei testi, sia nella conduzione emotiva degli arrangiamenti, nelle emozioni che si traggono durante il percorso sonoro. Banalmente, anche le performance vocali di Cave assumono forme diversificate nel corso dell’album, riprendendo a tratti la flebile e spaventata voce tremante delle opere più recenti, a tratti la vigorosa e solenne voce da “ballad” e a volte perfino una sorta di sbeffeggiante spoken word.

Carnage incomincia con l’accattivante Hand of God, in cui tonalità solenni e melanconiche si accompagnano ad un beat elettronico profondo e accattivante. Il testo sembra rimandare ad un’adorazione cosmica, immagini idilliache che ispirano riflessioni di tipo spirituale, scandite dal mantra: “Hand of God, coming from the sky”.

Il ritmo continua a mantenere una certa drammaticità e una propensione all’elettronico con Old Time, che dal punto di vista testuale bazzica nel surreale, descrivendo boschi, bestie selvagge e la nascita di un bimbo, senza soluzione di continuità tra questi elementi. Personalmente, fatico a trovare laicità in questo disco, che, in un modo o nell’altro sembra strizzare sempre l’occhio al fantastico, in termini religiosi, o puramente allucinogeni. Il brano si sposta, da metà in poi, su un immaginario più reale, strade lunghe e ricongiungimenti, che Cave tratta in tono fatalistico: “Whenever you are, darling, I’m not far behind”.

È da questo momento in poi che il disco incomincia a volteggiare su tinte più ottimistiche. Carnage ed Elephant Man sono entrambi brani ricchi di contrapposizioni. La prima metà di questo secondo brano, appunto, è una sorta di soliloquio aggressivo di Cave, quasi parlato, mentre da metà brano in poi si assumono tinte oniriche, splendenti, quasi paradisiache. Un’esplosione elegante di suoni ottimistici al raggiungimento della boa che segna la metà esatta del disco.

Lavender Fields e Albuquerque, pur mantenendo levatura testuale di gran livello, si pongono a parer mio come i brani più deboli del disco, quasi a preparare il gran finale. Due canzoni di transito, forse più la seconda, che la prima.

Shattered Grounds è un capolavoro che parla d’amore, usando la commistione di immaginario fantastico e quotidiano che a questo punto del disco non è più una novità.

“The moon is a girl, with sun in her eyes” canta Nick Cave, riprendendo il “Wherever you are, I am” ascoltato in precedenza. Questa caratteristica, delle immagini a specchio nel corso del disco, non è un’esclusiva di queste due canzoni, ma è presente per tutti i brani. Il sottofondo di synth lievi e sognanti, accompagnati dal solo piano, sono un soffice piano sul quale la voce di Cave ripetutamente dice: “Goodbye, goodbye”, soave e dolce. Due aggettivi che forse descrivono al meglio il brano nel suo complesso.

Chiude Balcony Man, altro semi-soliloquio su piano e lievi synth: Nick Cave duro e puro, si potrebbe dire. “This morning is amazing and so are you”, semplice, conciso, ma efficace. Le parole di un uomo chiuso in casa, che osserva la vita dal proprio balcone. Il mattino, fuori. Tu, dentro. Entrambe le cose l’unica fonte di sostentamento, si fondono.

Carnage non è un disco semplice: è un disco che comunica a voce alta il genio creativo ed il talento sconfinato di Nick Cave, ma è anche un disco di continue contraddizioni, trame incrociate, inaspettati cambi di passo e d’umore. A volte viene l’impressione che la materia prima per creare un prodotto d’oro vi sia, ma che le direzioni prese siano state estemporanee e talvolta confuse. È un disco che racconta bene il 2020 e forse è questo quello che conta.

Voto: 8.5/10

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