A imperitura e cementata memoria: gli ecomostri in cemento armato

Il 20 febbraio 2020 altri colpi di ruspa per abbattere una delle ultime quattro residue “Vele di Scampia”.

Le Vele vengono realizzate negli anni 70, e insieme ad altri edifici “colleghi” (le Lavatrici di Genova, Corviale di Roma,..), incluse successivamente e lapidariamente nel grande gruppo degli “ecomostri”. Il significato della parola evoca la mostruosità dell’impatto ambientale di complessi edificati giganteschi, in stragrande maggioranza in cemento armato, sempre fuori scala che non si inseriscono nel paesaggio in cui si stagliano,  come immagini imponenti e violente.

Divenuti simbolo del degrado sociale e, come nel caso delle Vele, del mondo della camorra e della delinquenza, gli ecomostri a destinazione residenziali– sui quali ci soffermeremo – nascono negli anni 60 e 70 dall’esigenza di fornire una casa a famiglie di classe medio-bassa, con scarso potere d’acquisto, quali gruppi sociali deboli da “sistemare”.

Nasce così l’edilizia popolare e populista, detta non a caso Edilizia Economica e Popolare, che usurpa sviluppandosi tramite piani di esproprio – finalità democratica e socialmente utile- lo spazio periurbano e lo cementa a velocità record. Nascono le periferie di cemento, come tutte le cose non un male in sé ma un male laddove i progetti sono trascurati, il cemento e le finiture di scarsa qualità, il verde assente, la posizione dei manufatti estraniata dal contesto ed estraniante per chi vi va a vivere, il contesto sociale monotematico e degradato all’origine.

Ma la storia del cemento (armato) inizia in realtà più di cento anni prima.

Nel 1854 il sig. William Wilkinson – secondo Wikipedia – inventa l’utilizzo del cemento armato moderno nell’edilizia, applicandolo a un piccolo cottage di due piani. Nello stesso periodo, o giù di lì, un francese introduce la tecnica nella creazione di vasi con struttura metallica spruzzati di cemento.

Combinando la resistenza alla compressione del calcestruzzo (fatto di polvere di cemento, acqua, sabbia e pietre), “armandolo” con sbarre sottili di ferro all’interno (dette “tondini”) con le proprietà elastiche del ferro, i limiti di altezza delle costruzioni in mattoni e in legno possono essere facilmente superati, aggiungendo verticalità, sinuosità e flessibilità di distribuzione alle costruzioni sino ad allora “squadrate” e più tozze.

Nel tempo, il cemento armato si diffonde un po’ come la plastica per la sua adattabilità: complessi monolitici a perdita d’occhio o villini abusivi, semplici depositi attrezzi, “gettate” lisciate a mo’ di colata su distese erbose, per evitare il fastidioso problema del taglio dell’erba… gli usi sono infiniti.

Se fino a quel momento verticalità e snellezza del costruito erano appannaggio delle grandi cattedrali gotiche, costruite con immane dispendio ed altissime abilità artigiane, il cemento armato dimostra poco a poco che la serialità ed il costo relativamente basso della produzione dei suoi ingredienti industriali, unito ad una tecnica costruttiva semplice, possono rendere accessibile a tutti una casa “moderna”.

Così, dagli anni Sessanta, settanta, e nei decenni successivi, nasce e cresce la gran periferia delle città; di cemento armato si sostanzia la nostra vita quotidiana.

Merito del cemento armato se, al risveglio nella camera del nostro appartamento in condominio pluripiano, si apre una finestra abbastanza alta e larga che illumina ed arieggia la stanza; il cemento armato non ha vincoli di sorta, si apre ad ampie vetrate, si curva lungo muraglioni altissimi, torreggia nei blocchi ascensori che ci portano su, verso terrazzi e lastrici solari come nuove piazze, o forse come  nuovi torrioni d’avvistamento. Nel tempo libero pattiniamo su piste di cemento e skatebordiamo dentro foreste di pilastri a fungo.

Oltre alla libertà di movimento che il cemento concede agli architetti, esiste anche la libertà di intensificare la densità del costruito che si associa alla possibilità di salire, a costi contenuti, molto in alto con i piani degli edifici. Nel 900 nascono teorie urbanistiche affascinanti: l’architetto francese Le Courbousier ritiene che una maggiore densità del costruito consenta di lasciare molto più spazio libero intorno agli edifici, con vantaggi ambientali, paesaggistici e sociali. Così immagina e realizza grossi edifici in cemento armato, mastodontici e pluripiano, nei quali incasellate in una griglia di pilastri si affiancano scatole (appartamenti) personalizzabili al loro interno.

 

Il contenitore edificio contiene tutto: la strada, la casa, i negozi, la piazza, la scuola. Una delle realizzazioni emblematiche è visibile a Marsiglia, ma non travalica la natura di esperimento sociale ed urbanistico.

Ora ritorniamo col pensiero qui a Scampia. Da demolire, certo. Da sostituire con forme abitative più trasparenti e accoglienti, certo. Ma con la consapevolezza che pur de-formata quella forma ha una storia e una ragione profonda, sicuramente storica e in parte democratica. Non lasciamo gli ecomostri a imperitura memoria (peraltro impossibile trattandosi di cemento) ma ricordiamone il perché.

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