Silvia ritorna da musulmana, ad accoglierla la xenofobia

Silvia Romano era stata rapita il 20 novembre del 2018 dall’orfanotrofio di Chakama, in Kenya, da un commando armato di 8 persone.  Aveva solamente 24 anni. Venduta poi ad un gruppo di terroristi, era stata portata, dopo un viaggio di 4 settimane, in Somalia.

Da quel giorno, i servizi segreti italiani hanno indagato per cercare di riportarla nel suo paese. Ieri, la notizia del suo ritorno, arrivata da un Tweet del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Conte ha affermato che “Queste sono operazioni che necessitano il massimo riserbo. C’era stata la prova in vita. Eravamo in dirittura finale da qualche mese, ma abbiamo mantenuto il massimo riserbo“. La collaborazione tra autorità italiane e kenyane era sempre stata attiva, e la collaborazione con i servizi segreti turchi ha determinato il successo dell’operazione.

Torna, ma viene accolta non solo da affetto ma anche da tanta rabbia. Dal giallo del riscatto, che non è ancora chiaro se sia stato pagato e di che somma si tratti, fino alla sua conversione alla religione musulmana, centinaia di persone sono state molto rapide a trasformare una buona notizia in un messaggio di odio.

Tanti dicono che “è come vedere un ebreo tornare dal campo di concentramento vestito da nazista”, riferendosi al suo arrivo in Italia indossando l’hijab. Altri si lamentano della velocità dello stato nel pagare i riscatti, domandando invece i 600 euro promessi per l’emergenza. Tuttavia, ad oggi nessuna fonte ufficiale ha confermato neppure l’esistenza di un riscatto.

Un episodio di gioia, l’abbraccio dei familiari, che è stato sotterrato da valanghe di insulti. Chi la accusa di essere ingrata, chi le dice di essere una traditrice. Lei dice di non essere stata torturata e di non essersi sentita prigioniera, e che la sua conversione è stata lenta, informata e soprattutto volontaria.

Lo stato della sua prigionia verrà lentamente indagato da esperti, facendo attenzione a non innescare possibili traumi subiti, ma adesso Silvia sta bene e si è ricongiunta con la sua famiglia. La sua conversione è stata definita da lei stessa volontaria e per questo non dovrebbe in alcun caso determinare una “svalutazione” della sua persona. Una persona che in realtà come ogni altra persona, a prescindere, non andrebbe valutata. Come dare un prezzo ad una vita umana?

Descrivere Silvia come traditrice della patria in uno stato, tra l’altro, laico, non è che fomentare l’odio e il pregiudizio che aiutano il terrorismo a crescere. Ignorare i principi fondamentali della nostra costitutzione. La stigmatizzazione della totalità di una religione come “nemico”, come “male” non ci porta ad altro che paura e divisione. Il terrorismo non è diffuso che in una frazione degli estremisti islamici. Convertismi all’Islam non significa diventare terroristi.

Guardando i sorrisi di Silvia e l’abbraccio con la madre, è difficile trovare qualcosa di sbagliato. Una storia che poteva finire in tragedia come molte altre ha finalmente trovato un lieto fine. A prescindere dal Dio in cui crede, Silvia è tornata a casa sana e salva, e tutti gli italiani devono esserne orgogliosi e soprattutto felici.

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