Telegram è una giungla, il revenge porn è solo la punta dell’iceberg

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Non è una novità che i social media possano essere un luogo insidioso, è un fatto dato per assodato. Il revenge porn è una piaga che affligge l’internet di tutto il mondo dai suoi albori. La grande mole di dati che circola ne rende assolutamente utopico il controllo.

Uno dei casi più celebri di contenuti orribili pubblicati su internet è quello del modello italo-canadese Luke Magnotta, serial-killer a tempo perso, probabilmente la persona nel video di uccisione di due gatti, la cui storia è raccontata dal documentario Netflix Giù le Mani dai Gatti.

Casi in Italia riguardano gruppi dove viene pubblicato materiale gore (dove viene ripresa violenza non simulata, una scena di un film horror non è considerata gore), pornografico e pedopornografico, con cui i moderatori di Facebook devono lottare quotidianamente.

Ora sotto i riflettori ci finisce Telegram, che a differenza di altre applicazioni di messaggistica istantanea offre maggiore riservatezza e consente un maggiore controllo, consentendo agli amministratori dei gruppi di selezione le persone che possono scrivere sugli stessi.

I membri di alcuni gruppi italiani di Telegram, dai nomi irripetibili, sono stati sorpresi dall’autorità giudiziaria a scambiarsi immagini porno o pedopornografiche, scattate o diffuse senza il consenso delle donne immortalate.

Il revenge porn è proprio questo, la diffusione senza il consenso di materiale pornografico raffigurante il proprio ex-partner senza il consenso dello stesso. L’obiettivo è quello di umiliare, denigrare e marginalizzare la persona. E il più delle volte funziona.

Episodio italiano più significativo è quello di Tiziana Cantone, il cui video pornografico diffuso dall’amante anni fa ne causò una violenta depressione che si concluse poi con un tragico suicidio. La pericolosità sociale del fenomeno è fuori discussione.

Così come il fatto che ciò colpisca particolarmente le donne, la cui eventuale promiscuità è socialmente ben meno accetta. Il fatto costituisce un reato penale, così come la diffusione di chat e conversazioni private. La normativa già esiste.

Stesso discorso vale per le immagini pedopornografiche, che spesso, in modo agghiacciante, vengono pubblicate dagli stessi genitori, in quello che sembra un vero e proprio mercato rionale. “Chi ha dodicenni?“, chiede un utente. Protetto dall’anonimato.

E’ noto anche che Telegram sia anche un covo di stalker, dove vengono organizzate le cosiddette shitstorm, dei veri e propri blitz contro una ragazza, di cui una persona a lei vicina diffonde cellulare, indirizzo, informazioni personali, al fine di farla aggredire dal branco.

Non è pero tutto su Telegram, spesso coinvolto in crimini per la eccessiva discrezione offerta agli utenti. Già durante la grande stagione del terrorismo negli anni tra duemiladieci e duemilaventi, la chat inventata in Russia era frequentemente luogo di conversazioni in cui gli aspiranti attentatori organizzavano stragi e complottavano.

La questione non è tanto sul revenge porn o sul terrorismo, esiste già una ricca legislazione che sanziona entrambi i fenomeni, ambedue decisamente riprovevoli, più che altro occorrerebbe far sì che venissero applicate.

Il dibattito, come al solito, è sul complicato equilibrio tra privacy e libertà in rete. Bisognerebbe ripensare il diritto di internet e del web, rivedere il nostro rapporto con la rete e le dinamiche delle nostre interazioni.

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