Nba, resoconto settimanale

Nba

La scorsa settimana si era parlato di sorprese e delusioni della stagione Nba arrivata ormai agli sgoccioli. Oggi invece un resoconto settimanale che andrà a parlare di due squadre per ciascuna conference.

Western Conference:

  • Los Angeles Lakers: sempre loro in cima alla classifica delle squadre della West Coast. Con un logo commemorativo di Kobe Bryant sulla spalla destra hanno a disposizione al momento il fattore campo nei playoff, non un vantaggio da poco. Ma soprattutto tra le loro file vi sono un Lebron James che sembra avere 25 anni, non quasi 36, e Anthony Davis, finalmente esente da problemi fisici. In settimana una bruciante sconfitta con i Memphis Grizzlies (in assenza di Anthony Davis in via precauzionale) che sembra essere un banale incidente di percorso. Poi una vittoria contro i New Orleans Pelicans dell’astro nascente Zion Williamson e una ramanzina rifilata ai perplessi e spaesati Philadelphia 76ers. L’asse Lebron-Davis continua a funzionare (stando alle statistiche è quello più prolifico in assoluto) a meraviglia mentre la difesa stoppa, blocca, argina e respinge qualunque cosa provi ad avvicinarsi nei pressi del canestro e dell’area pitturata. Quanto in realtà si stanno trattenendo per giocare come si deve ai playoff (la cui partecipazione a distanza di qualche giorno dovrebbe essere matematicamente garantita)?
  • Houston Rockets: dopo un gennaio da imbattuti e un febbraio convincente i Rockets sembravano essere in gran forma. Hanno comunque tentato il tutto per tutto, scambiando Clint Capela ad Atlanta per rimanere senza nessun giocatore sopra i 2 metri e 10 e giocare small ball: in campo tutti piccoli, si corre e si tira da tre punti. Il primo test contro i Lakers, dotati sulla carta di un impareggiabile strapotere fisico, si è concluso in loro favore. Ma si sa che il vero campo di prova non è la stagione regolare. Nel mentre arriva una rovinosa sconfitta contro i derelitti New York Knicks. Perdere a New York ormai è diventato motivo di profondo imbarazzo. A Houston sono consapevoli che un loro successo potrebbe cambiare per sempre la storia di questo sport e si concentrano per affrontare al meglio in futuro i momenti che contano sul serio. Resta però imbarazzante vedere una squadra allenata da un coach come l’ex-baffo Mike D’Antoni doversi ridurre a giocare decine di isolamenti, uno contro uno di Harden e Westbrook senza provare a macinare movimento di palla e a sviluppare del gioco. Questo sembra essere il limite organizzativo più grande dei Rockets: l’eccessiva fiducia nelle superstar. Superstar che in passato hanno dimostrato più volte di non essere immuni ai blackout, mentali, tecnici ed agonistici.

Eastern Conference:

  • Milwaukee  Bucks: ai vertici della lega, con il miglior rapporto vittorie/sconfitte c’è sempre the greek freak, Giannis Antetokounmpo. Arrivati quasi a quota 70 vittorie stagionali possono puntare ad essere, dopo i Warriors e i Bulls, la squadra più vincente della regular season. Peccato che non diano premi per la stagione regolare. Antetokounmpo viaggia a cifre da capogiro, ma la sera del 2 marzo all’American Airlines Arena di Miami è arrivata un’improvvisa battuta d’arresto. Gli Heat, incontrastati padroni della Florida, hanno massacrato dei Bucks irriconoscibili, con il greco fermo alla peggior prestazione stagionale con 13 punti segnati. Si era parlato la scorsa settimana di rischio di scomparsa dal campo di Antetokounmpo in caso di difese organizzate. Beh, la difesa degli Heat è la più organizzata della Lega e sembra averlo fatto diventare improvvisamente un bambino;
  • Boston Celtics: la squadra del Massachusetts ha trovato finalmente la chiave per far girare perfettamente l’arzigogolato sistema del coach Brad Stevens: Jayson Tatum. Incredibile vedere un ragazzo classe 1998 trascinare una squadra dal passato leggendario come i Celtics e mettersi tutto il peso delle (molte) inadempienze dei compagni sulle spalle. L’incubo dei contrasti in spogliatoio dello scorso anno sembra essere scomparso probabilmente grazie alla partenza di Kyrie Irving. Nessuno però si aspettava un Tatum così pronto e preciso, pulito che non perde mai un pallone e gioca a testa alta. Non uno squadra costantemente al top della lega ma un gruppo coeso che ha trascorso un febbraio tentennante nonostante le strepitose prestazioni di Tatum. La sconfitta con Brooklyn (orfana proprio di Kyrie Irving per via di un infortunio alla spalla che lo terrà fuori fino a settembre: l’ex-Celtic non ha mai affrontato i suoi vecchi compagni quest’anno) grida vendetta considerata la disparità dei mezzi tecnici in campo. Sicuramente la conferma che è arrivata in queste settimane è la non prontezza del team a vincere: servono ancora partite su partite per mettere a punto l’organizzazione dell’enorme talento a disposizione. Nel frattempo il mondo si sfrega le mani nel vedere cosa sarà in grado di fare Jayson Tatum tra un paio d’anni.

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