Quando la vittima diventa il colpevole

Si è visto un proliferare di preoccupanti episodi, generalmente catalogati come scivoloni, o come “no, ma non intendeva quello”, di victim blaming, distorte narrazioni di episodi secondo le quali la vittima ha in qualche modo portato, accompagnato, o provocato il proprio carnefice a compiere il fatto. È difficile negare come tale tendenza sia particolarmente presente negli episodi in cui l’autore del fatto è un uomo e la vittima è una donna.

L’ultimissimo episodio che ha dato il via a uscite giornalistiche etichettabili come victim blaming è stata la vicenda che ha visto protagonista l’imprenditore milanese Alberto Genovese. Lo stupro prolungato, per ore, di una ragazza di 18 anni, violentata ripetutamente mentre questa era praticamente senza sensi, ha scoperto un vaso di Pandora nella vita grottesca di un individuo con una forte dipendenza dalla cocaina, con cui adescava le sue vittime e una passione per sadica violenza sessuale nei confronti delle donne, filmate e fotografate, con conseguente condivisione del materiale agli amici.

Le accuse si sono moltiplicate e dalla somma delle testimonianze è emerso un quadro assolutamente inquietante, composto di stupri di gruppo, stordimenti, acquisto e condivisione di materiale multimediale raffigurante violenza sessuale su minori.

La notizia condivisa dal Sole 24 Ore in seguito all’arresto di Genovese, rapidamente rimossa dopo una valanga di segnalazioni e (meritate) ingiurie, leggeva: “un vulcano di idee e progetti, che per il momento è stato spento”, o in seguito “non si è mai fermato un attimo. Ora sarà costretto a fermarsi in prima persona, almeno per un po’ “. Nel resto dell’articolo, ripetute menzioni alla carriera studentesca ed imprenditoriale e due, tre righe sullo stupro, registrato dalle telecamere poste all’interno dell’abitazione e in quel momento praticamente accertato da qualunque punto di vista, ma che viene comunque trattato come una mera ipotesi, che potrebbe venir smentita dalle indagini.

Senza andare troppo lontano, proprio questa sera, durante il programma televisivo Quarto Grado, Bruno Vespa viene chiamato ad intervenire sull’emergere di ulteriori denunce, accompagnate dalla testimonianza audio delle vittime stesse, che hanno raccontato le violenze subite. L’intervento di Vespa si apre con l’affermazione “Io, comunque, sono un garantista, quindi la verità la dirà il processo” e prosegue con un accorato (ironia del redattore) appello: “ragazze, ma dove vi andate a cacciare? Ma lo sapete che se c’è la droga poi si è senza freni”, prima di riferirsi rapidamente alle tendenze sessuali del Genovese come malate, per poi insistere nuovamente sulla scelta delle giovani di partecipare alla festa.

Contestualizzando, non vorrei ci si dimenticasse si sta parlando di uno stupro durato 12 ore di una ragazza drogata fino a perdere i sensi. La ragazza era dipendente da cocaina. D’accordo, ma come può anche solo per un secondo passare per la testa di mettere in primo piano l’errore di lasciarsi trascinare all’interno di una festa organizzata da un folle, piuttosto che la commissione crudele, premeditata e reiterata di uno dei reati maggiormente gravi e svilenti che esistano.

La risposta esiste: è l’accettazione passiva dell’esistenza di questi individui, abituarsi ad un mondo in cui i cattivi vanno evitati, non combattuti. Viene spostata l’attenzione su come avrebbe potuto la vittima evitare l’accaduto, anziché riflettere su come si sarebbe potuto evitare che l’autore realizzasse l’atto.

Una mentalità, distorta e maschilista, anche inconsciamente, che sta trovando grande sforzo di denuncia di parte di pagine social, riviste e quant’altro. Questo sforzo sta avendo il risultato di consapevolizzare soprattutto le generazioni più giovani, meno permeate dall’assioma “uomo = lupo, donna = agnello”.

Chiariamo un concetto: è senz’altro fondamentale prendere consapevolezza della veridicità nella realtà di tale assioma, ma è fondamentale farlo per prendere coscienza dell’immediatezza del problema, e assolutamente non per adagiarvisi, costruire il proprio impianto di valori accettando passivamente questo concetto.

Il primo passo per un futuro che veda diminuita la violenza sessuale sulla donna è evitare di normalizzarla. Spostare il focus dall’autore alla vittima, in qualunque modo questo accada, che accada inconsciamente o in buona fede, contribuisce a detta normalizzazione. Il futuro dipende da ogni singolo individuo e ciascuno può accorgersi di quanto questo tipo di mentalità sia insito in ciascuno di noi. La buona notizia è che i bias cognitivi si possono combattere. È ora di iniziare a farlo.

 

 

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