Morbo di Alzheimer: entro 3 anni un vaccino per curare la malattia

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La ricerca nell’ambito medico e lo sviluppo di nuovi sistemi per la diagnosi e la cura di malattie, nel corso degli anni hanno contribuito a rendere meno pericolose molte patologie che un tempo facevano molta più paura rispetto ad oggi, ma sono ancora molte le malattie che richiedono tanto lavoro prima di poter essere comprese in maniera approfondita e, soprattutto, per consentire ai ricercatori di trovare una cura definitiva che possa definitivamente debellarle.

E’ il caso del cosiddetto morbo di Alzheimer, scoperta per la prima volta nel 1906 e descritta come una malattia neurodegenerativa considerata oggi come la forma di demenza degenerativa più comune con almeno 25 milioni di persone colpite a livello globale, un numero che secondo alcune stime entro il 2050 potrebbe addirittura quadruplicarsi. Ed è proprio contro l’Alzheimer che, entro i prossimi 2 o 3 anni, potrebbe essere sviluppato un vaccino in grado di contrastare questa malattia, arrivando persino a prevenirla grazie alla diagnosi precoce in giovane età.

Ciò che rende il morbo di Alzheimer così pericoloso è il progredire della malattia che, con il passare del tempo contribuisce a ridure in maniera sempre maggiore l’indipendenza delle persone che ne sono colpite, riducendo l’apprendimento, le capacità cognitive in generale e persino la memoria, rendendo i soggetti sempre più dipendenti dagli altri.

Il problema è che i farmaci che attualmente vengono utilizzati nella cura della malattia non sono sufficientemente forti e pur contribuendo a rallentarne il decorso non sono in grado di eliminarlo del tutto, ma la situazione potrebbe cambiare già nei prossimi due o tre anni, come confermato dai risultati ottenuti da un team di ricerca dell’Università di Adelaide, in Australia, in collaborazione con l’Institute of Molecular Medicin e l’Università della California.

Il gruppo di ricercatori ha confermato che entro i prossimi tre anni potrebbe essere sviluppato e testato sull’uomo un vaccino in grado di attaccare le proteine amiloidi, considerate le principali responsabili della nascita della malattia, permettendo al sistema immunitario di sviluppare degli anticorpi che andranno a legarsi alle proteine cattive portandole lontano dal cervello e impedendo che possano far progredire la demenza. I primi test verranno effettuati su soggetti con età superiore ai 50 anni, bloccando la malattia sul nascere.

I ricercatori, tuttavia, confermano che il vaccino diventerebbe efficace esclusivamente nella fase iniziale del morbo di Alzheimer. Ed è anche per questo che, come evidenziato nel corso del Convegno di Neuroscienze che si è tenuto presso l’Università Milano Bicocca, altrettanto importante oltre alla cura, sarà la diagnosi precoce che, attraverso nuovi esami, in futuro potrebbe consentire ai medici di diagnosticare precocemente la malattia, prima ancora che questa si presenti.

Dal momento che l’accumulo di proteine beta-amiloidi nei soggetti affetti da demenza degenerativa, può avvenire già 10 anni prima che la malattia venga diagnosticata, i ricercatori ritengono possibile sfruttare esami come la PET o la puntura lombare per identificare in anticipo l’accumulo di proteine cattive e prevenire quindi l’insorgere della malattia.

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