La malattia del secolo: epilessia fotosensibile detta anche del videogioco

Se giocate o avete figli che giocano con le consolle di vario genere vi sarà capitato di leggere l’informativa ante-gioco sulle possibili cause che possono portare all’epilessia fotosensibile. Erroneamente possiamo poi pensare che tanto nessuno in famiglia ne soffra, e avviare senza alcun dubbio il videogioco. Questo può essere corretto, ma fino ad un certo punto, perché non aver mai avuto crisi epilettiche non vuol dire che non ne soffriamo. A quanto pare infatti sono circa 2 le persone su 1000 a soffrirne e per le quali gli stimoli luminosi possono causare effetti pericolosi.

Causa scatenante di questa forma di epilessia è l’esposizione a luce stroboscopica o intermittente. Il caso che ricorderete tutti è quella di una puntata di cartoni animati Pokémon con queste caratteristiche e che fece finire in ospedale 700 persone in Giappone. Non dipende però solo da questo tipo di luce in movimento, infatti anche immagini statiche possono innescare queste crisi. Secondo i ricercatori l’epilessia fotosensibile viene scatenata dalle onde gamma, ossia un particolare alternarsi di picchi di attività cerebrale, cosa che avviene in presenza di determinate immagini. Tra le immagini che possono scatenare le onde gamma ci sono i motivi a righe bianche e nere. Il cambiare la loro dimensione o nitidezza provoca onde gamma di intensità diversa nel cervello, anche su chi non soffre di epilessia. 

Fortunatamente l’epilessia fotosensibile non è una patologia molto diffusa, ma oltre a chi è soggetto esiste un 3% della popolazione a soffrire anche solo in parte di fotosensibilità.  “Anche le persone perfettamente sane possono provare sensazioni sgradevoli o emicranie di fronte alle immagini che causano le crisi nei soggetti epilettici” spiega Dora Hermes dell’University Medical Center di Utrecht.

E da qui a mettere sotto accusa i videogiochi è un attimo. Ricordiamo, come fanno ben notare gli esperti, che la pericolosità dei videogiochi c’è solo per chi soffre di epilessia fotosensitiva e per chi non sa di esserlo non avendo mai avuto crisi. Il rischio si ha quindi quando si guardano immagini con un eccessivo contrasto di luminosità: non c’entra quindi il tipo di gioco, il grado di violenza al suo interno né la velocità con cui si trasmettono le immagini.

“Il cervello di chi soffre di epilessia fotosensitiva manca proprio del meccanismo di controllo che consente di tollerare il contrasto” dice Vittorio Porciatti, neurofisiologo e ricercatore Dipartimento di oftalmologia dell’Universita’ di Miami, autore di uno studio in proposito pubblicato da Nature Neuroscience nel 2000. “Il cervello, che funziona in modo da cogliere efficacemente lo stimolo, amplifica il segnale luminoso quando è minimo e lo deprime quando è troppo forte. I soggetti fotosensibili non hanno questa sorta di compensazione, e davanti a un forte contrasto visivo la loro attività cerebrale continua ad aumentare, porta il cervello in un pericoloso stato di sovreccitazione e può causare attacchi di epilessia.”

Una volta individuata la patologia ci si deve curare attraverso farmaci in grado di ridurre l’eccitabilità del cervello stimolato dalle immagini. La percentuale di ragazzi e bambini di età compresa tra i 4 a 14 anni la percentuale sale al 5-8 per mille di chi soffre di epilessia fotosensitiva, considerando una percentuale di bambini che non sanno di avere questa patologia. Le femmine ad esempio hanno possibilità doppia di soffrire di questa patologia e possono esporsi al rischio ad esempio con lue luci delle discoteche.

Precauzioni? Sì ce ne sono, come ad esempio non sottoporsi a tour interminabili di videogiochi, interrompendone l’utilizzo dopo un’ora. Come anche lo stare lontani dallo schermo e non giocare se si è stanchi. La stanza deve essere sempre molto illuminata.

 

 

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