Coca Cola delocalizza: pro e contro della “Sugar Tax”

Luca Busi, amministratore delegato di Sibeg (imbottigliatore responsabile dell’area produzione e marketing della Cola Cola nella regione Sicilia), ha annunciato qualche giorno fa la chiusura dello stabilimento Coca Cola di Catania e delocalizzazione della produzione e dei relativi investimenti in Albania. Secondo Busi questa scelta, seppur presa a malincuore poichè costerà il posto di lavoro ad oltre cento dipendenti, era comunque inevitabile, a causa dell’ingente riduzione di profitto che andrebbe a causare l’introduzione in Italia della “Sugar Tax”, ossia la “tassa sullo zucchero”.

Immediate sono state le reazioni e le accuse nei confronti di questa imposta provenienti dall’ambiente politico. Infatti, soprattutto ora che sono alle porte le Regionali in Emilia Romagna, uno dei principali poli industriali in Italia, il tema delle imposizioni sulle imprese è più caldo che mai. Il Governo viene dunque nuovamente accusato di essere la causa del blocco dello sviluppo imprenditoriale nel nostro Paese, poiché l’entità delle imposte che un imprenditore deve versare in Italia è di gran lunga maggiore di quelle che si devono affrontare in altri Stati (compresa quindi anche l’Albania, nazione nella quale si trasferirà l’ormai ex stabilimento catanese).

Ora, a prescindere da ogni valutazione circa la situazione generali dei tributi in Italia, sarà utile soffermarsi sul significato di questa Sugar Tax, dal momento che a monte di questa imposizione si nascondono ragionamenti e considerazioni spesso ignorati.

La tassa sullo zucchero consiste in un’imposta sulle bibite zuccherate, al fine di scoraggiarne il consumo. Ci sono due motivi di fondo per cui uno Stato potrebbe dunque decidere di imporre questo tributo. Il primo è legato alla concezione del “nanny State”, ovvero lo “Stato balia”, la politica del quale è incentrata su una forte interferenza nelle scelte dei cittadini (in questo caso nelle scelte di consumo), allo scopo di assistere e migliorare le condizioni di vita del popolo. Appare dunque evidente come la riduzione di acquisti di bevande zuccherate possa contribuire ad un’alimentazione più sana.

Il secondo motivo si colora invece di una sfumatura marcatamente economica: infatti un migliore stato di salute dei cittadini implica una minor spesa pubblica nel settore del Servizio Sanitario, il che sarebbe un’importantissima fonte di risparmio per dar respiro alle casse dello Stato.

La Sugar tax è quindi un esempio di imposta pigouviana, cioè quel tributo applicabile soltanto se si è in presenza di una cosiddetta esternalità. Per esternalità si intende la situazione in cui l’attività di produzione o di consumo di un soggetto abbia un impatto o positivo o negativo sul benessere di un altro soggetto, senza che quest’ultimo riceva una compensazione (nel caso di impatto negativo) o senza che questi paghi un sovrapprezzo pari al beneficio conseguito (in caso di impatto positivo). Nel caso in questione, la Sugar Tax andrebbe a colpire le conseguenze negative che la produzione di bibite zuccherate cagiona alla salute dei consumatori.

Arthur Cecil Pigou, pioniere dell’economia del benessere dal quale prendono il nome le “imposte pigouviane”

Da questa breve spiegazione possiamo evincere con facilità quanti interessi ruotino attorno a questo tributo e allo stesso tempo intuire come sia inevitabile il sorgere di così tanti contrasti riguardo all’applicazione della Sugar tax. Da un lato ci sono quindi le Associazioni e le Organizzazioni volte alla tutela della salute, che ovviamente sostengono l’imposizione in parola, vedendo in essa un incentivo decisivo alla riduzione del consumo di prodotti non in linea con i dettami della scienza alimentare, dall’altro vi sono le imprese di produzione di bibite zuccherati che si oppongono con forza alla Sugar Tax, in quanto affronterebbero un ingente calo di vendite e conseguenti ricavi. Infatti le suddette imprese, al fine di non risentire negativamente del tributo, aumenterebbero il prezzo del prodotto così da ottenere lo stesso guadagno netto, il che pertanto implicherebbe logicamente una diminuzione di convenienza e d’attrattiva del prodotto stesso.

Ed ecco quindi che entrano in gioco le spesso denunciate attività di lobbismo messe in atto dagli imprenditori i quali, finanziando ricerche e studi scientifici di determinati Istituti, mirano ad influenzare gli esperti del settore, così da far assumere loro posizioni sfavorevoli all’applicazione dell’imposta.

Inoltre, per concludere l’analisi sui pro e contro della Sugar tax, è bene ricordare una pratica molto in voga negli Stati di piccole o piccolissime dimensioni i cui abitanti, a causa della vicinanza con le nazioni limitrofe, attraversano il confine per acquistare questi prodotti a prezzi più bassi in paesi in cui non è applicata l’imposta. Questo cosiddetto “turismo di spesa” ovviamente vanifica il senso del tributo, avendo anzi come unica conseguenza quella di indebolire la competitività dell’economia nazionale a vantaggio di quella dei propri vicini. Proprio questo motivo spinse la Danimarca ad abolire la Sugar tax nel 2013.

Infine vi sono scuole di pensiero che, scevre di ogni valutazione di stampo economico, inneggiano alla più totale libertà di scelta e autodeterminazione dell’individuo, così da screditare ogni forma di interferenza dello Stato nella vita dei soggetti privati, poco importando che la conseguenza sia quella di avere una popolazione con qualche chilo o qualche diabetico in più.

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