No al fumo in gravidanza. Sembra banale ma va ricordato che ne fa le spese il neonato!

Le donne e il fumo si sono incontrati più tardi ma hanno recuperato in fretta il gap, anzi, mentre gli uomini fumano meno, le fila delle donne fumatrici aumentano di numero. Sono poco meno di metà le donne italiane che fumano, e il 38% lo fa ogni giorno. Fumano le donne mature (50%) più delle ragazze (39%), le donne del Sud (50%) più di quelle del Centro (45%) e del Nord (39%). Più nei ceti sociali alti rispetto ai medi e medio-bassi (in controtendenza rispetto a ciò che avviene per i maschi (dati Astra Ricerche per Fondazione Veronesi).

“Le donne fumano troppo, il 34.7% delle italiane accende 3 o più sigarette al giorno, il 9.7% ‘non tutti i giorni, a volte’ o ‘1-2 sigarette al giorno’. Dieci donne su cento accendono almeno 16 sigarette al giorno, una fumatrice su tre fuma da almeno vent’anni” spiega il Dottor Fabio Beatrice Direttore Scientifico del Convegno ‘Cervello sotto attacco’ organizzato da MOHRE X Neuromed “e se smettono quando scoprono di aspettare un bambino, tornano al fumo dopo l’allattamento”.

L’esposizione intrauterina al fumo determina una lunghissima serie di rischi: parto pretermine basso peso alla nascita, rischi allo sviluppo di polmoni, sistema cardiovascolare, e cervello con conseguenze che perdurano a lungo termine, sino alla vita adulta. Gli studi hanno confermato conseguenze nella vita adulta come obesità, ipertensione, diabete di tipo 2, problemi comportamentali e malattie cardiache in età adulta.

Dimenticano però gli effetti del fumo di seconda e terza mano, interviene Giacomo Mangiaracina, Direttore di ANP l’Agenzia Nazionale per la Prevenzione e membro del board di MOHRE “e quelle che non smettono, espongono il feto alle sostanze tossiche scaturite dalla combustione. L’esposizione in gravidanza ha effetti drammatici sulla salute del bambino a cui si aggiungono rischi di sviluppare danni che si accumulano se la madre fuma – anche poco – durante l’allattamento e con l’esposizione al fumo passivo”.

“Dobbiamo pensare a strategie diverse per aiutare le donne (che sviluppano il tumore del polmone quasi quanto gli uomini) e i loro bambini” sottolinea Fabio Beatrice “ad esempio sfruttando un momento in cui sono più sensibili, la gravidanza che rappresenta una ‘finestra di ricevibilità’ delle proposte, ma con programmi a medio termine e follow up di almeno 2 – 5 anni, quel range di tempo in cui più spesso avvengono le ricadute. Le donne tornano a fumare dopo aver smesso di allattare, quello è un momento critico in cui è possibile intervenire con programmi di prima e seconda linea.

Morte improvvisa del lattante, rischio esponenziale se la mamma fuma

Il fumo passivo e quello di ‘terza mano’, quindi per contatto con le superfici intrise di aerosol combusto, non fa bene ai più piccoli: aumenta di ben 6 volte la probabilità di morti improvvise in culla (“morti bianche”) nei primi mesi di vita, eleva il rischio di asma allergico nei maschi, a cui si aggiungono otiti e bronchiti recidivanti; aumenta di almeno 5 volte il rischio che il figlio stesso diventi un fumatore rispetto ai figlio delle non fumatrici. Rischio che sale a 8 volte di più se a fumare sono entrambi i genitori.

Anche una sola sigaretta al giorno fumata dalla madre, raddoppia il rischio di morte improvvisa (SID suddenly infant death) e aumenta proporzionalmente al numero di sigarette fumate. Lo ha rivelato Pediatrics (doi: 10.1542/peds.2018-3325) che ha aggiunto come da 1 a 20 sigarette al giorno, la probabilità di SID aumenti in modo lineare, con ogni sigaretta fumata in più al giorno che aumentava le probabilità di 0,07. E’ stato stimato che il 22% delle SID negli Stati Uniti possa essere direttamente attribuita al fumo materno durante la gravidanza e che interventi per aiutare le donne a smettere siano strumenti di riduzione del rischio di vita per il bambino.

Altrettanto interessanti i risultati di una meta-analisi su 25 studi che hanno messo in relazione sul fumo materno durante la gravidanza e sul quoziente di intelligenza (QI) nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta. La stima complessiva ha mostrato che i soggetti che erano stati esposti al fumo materno durante la gravidanza presentavano punteggi QI più bassi, rispetto a quelli non esposti al fumo materno in tutte le fasce di età.

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