Italia in rosa: nono anno per il festival dei vini rosè sul Lago di Garda

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Si è conclusa oggi la terza giornata interamente dedicata ai vini rosè a Monica del Garga con Italia in Rosa, nello spettacolare scenario del Castello. Una ottima occasione per avvicinarsi al Chiaretto sulla riva bresciana del Lago di Garda. Quest’anno hanno presenziato 131 cantine con 170 rose provenienti da tutta Italia.

A farne da padroni la Puglia e la Valtènesi a rivendicare la propria tradizione per quanto riguarda questa tipologia di vino, con attorno tutte le diverse regioni fino ad arrivare anche ai vini francesi di Cotes de Provence. Questi ultimi hanno anche tenuto una degustazione guidata nella giornata di apertura.

Molto divertente anche l’iniziativa tutta social lanciata in questa edizione con la “Cena in Rosa” che ha permesso a chiunque avesse indossato qualcosa di rosa con tovagliato di questo colore a cenare sul prato in un’area riservata del castello, ottenendo inoltre lo sconto del 50% sull’ingresso. Al di là degli stand per la degustazione una parte del prato sottostante era riservato agli stand culinari con i formaggi dell’Alpe del Garda, un’altro stand con risotto alle fragole o pasta al pomodoro mantecata all’interno di una enorme forma di parmigiano. Queste fuori biglietto, da acquistare direttamente agli stand.

Per chi volesse approfondire le proprie conoscenze sul vino rosato, lo facciamo con le parole di Franco Ziliani dal sito Italia in Rosa:

Difficile, quasi impossibile, definire cosa sia un rosato. Se me la volessi cavare con una battuta direi che non è né carne né pesce e quindi né un (vino) bianco né un rosso. In realtà il rosato (discorso che vale anche per il Chiaretto e per il Cerasuolo), è un vino a sé che ha molte caratteristiche, i profumi, la delicatezza, la fragranza, di un bianco e la vinosità, la succosità, la calibrata nota fruttata di un vino rosso.

Il rosato è una sensazione fatta vino, non è un vino che si possa produrre, se si vogliono ottenere risultati significativi da un punto di vista espressivo e qualitativo (il rosato deve regalare delle emozioni, altrimenti non è un vero rosato), con qualsiasi uva rossa possibile, perché ci sono uve (mi riferisco a quelle classiche come il Groppello, il Montepulciano, il Negroamaro, nonché ad altre che stanno mostrando una sorprendente attitudine a tramutarsi in rosati come il Sangiovese, il Nerello Mascalese, il Gaglioppo) che hanno vocazione a dare il loro meglio come base di rosati e chiaretti.

Altre, anche uve importanti come quelle il Cabernet, il Merlot, il Syrah, che da punto di vista strettamente tecnico, esprimono dei vini che è impossibile non definire rosati, ma che sono privi della magia, dell’unicità che un rosato ben riuscito esprime.

I rosati innanzitutto si “bevono” con gli occhi e quindi con il naso, e non presentano un colore standard ma esprimono una tavolozza di colori, di mezze tinte, di sfumature, dovute non solo al tipo di uva utilizzata, ma alla sensibilità, quasi quella di un artista, del vinificatore, che variano dal rosa pallido al buccia di cipolla al salmone al cerasuolo intenso di un grande Montepulciano abruzzese o a un vino a base di Nero d’Avola siciliano.

Si tratta di vini, non mi stancherò mai di ripeterlo, tutt’altro che semplici da realizzare, e vini che richiedono peculiari attenzioni già in vigna, nella scelta dell’epoca di maturazione delle uve e della raccolta e poi in cantina dove la vinificazione segue precise modalità che sono di carattere tecnico ed enologico ma anche legate ad intuizioni, alla “visione” che il produttore ha del suo rosato, alla capacità di interpretare le uve in base all’annata e di valorizzarle in funzione del vino che ha in mente, del rosato o Chiaretto che corrisponde alla sua sensibilità.

Prendete venti rosato o Chiaretto, non solo di zone diverse d’Italia, ma anche di una sola zona, versateli in bicchieri tutti uguali e vi troverete di fronte ad una gamma di vini cromaticamente diversi tra loro, ognuno dotato di una propria personalità, di nuance e sfumature diverse. Che poi trovano amplificazione quando si passa ai profumi, impercettibilmente diversi tra loro, e al gusto, che oggi spesso, in baso ad una diffusa e a mio avviso discutibile idea di piacevolezza, di maggiore facilità d’approccio, è rotondo, morbido, talvolta tendente al dolce (grazie ad un residuo zuccherino volutamente lasciato). Ma che nei rosato e Chiaretto più significativi, in quelli meglio riusciti, tende al moderatamente secco, asciutto, con una prevalenza delle note sapide e minerali.

Rosati e Chiaretti hanno dunque mille identità, sfuggono ad una definizione rigida, sono multiformi, camaleontici, inafferrabil…

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