Il Tribunale di Belluno decide sulla sospensione del rapporto di lavoro in caso di mancata vaccinazione

Il tema delle possibili conseguenze nel rapporto lavorativo in caso di mancata vaccinazione contro il coronavirus era latente, ma pronto ad emergere prima o poi. L’episodio di un infermiere che aveva infettato alcuni pazienti di circa un mese fa aveva dato nuovamente il via alla discussione, sulla quale si era espressa INAIL una settimana fa, e sulla quale si è espresso il Tribunale di Belluno, con riferimento al ricorso effettuato da 10 dipendenti di una RSA, che erano stati sospesi dal servizio per aver rifiutato il vaccino.

È opportuno riassumere brevemente le norme di riferimento, di cui avevamo parlato in passato, rimandando all’articolo in oggetto per maggior approfondimento. Centrale alla discussione è l’art.32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute dell’individuo e della collettività, vietando inoltre ogni tipo di trattamento sanitario imposto, salvo diversa disposizione di legge. Si specifica poi, nella sent.107/2012 della Corte Costituzionale, che la legge può imporre un trattamento sanitario solamente quando ciò sia necessario alla protezione della salute collettiva.

Altre norme centrali sono quelle che descrivono la responsabilità sanitaria della struttura sanitaria e degli operatori sanitari. In particolare, la responsabilità di questi ultimi è extracontrattuale e dunque un’infezione da Covid che possa essere ragionevolmente ricondotta ad un operatore sanitario potrebbe far incorrere questi in una responsabilità. L’art.2087 c.c. impone invece al datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

INAIL, relativamente all’ambito dell’assicurazione in luogo di lavoro, ha affermato che la vaccinazione non agisce da condizione alla quale subordinare l’applicazione della copertura assicurative. Si può poi aggiungere che il comportamento colposo non esclude la copertura assicurativa del lavoratore, come anche è di difficile applicazione la dinamica del “rischio elettivo”, che comporta l’intenzione di perseguire finalità personali che abbia poco a che fare con l’attività lavorativa.

D’altro canto, poi, INAIL ha anche affermato che non è nemmeno automatica l’ammissione alla copertura assicurativa di chi abbia contratto il virus senza essersi vaccinato. Chiaramente, sarà necessario, per ottenere il premio di INAIL, che sia accertato che l’infezione sia avvenuta nel corso dell’attività lavorativa.

Passiamo adesso a parlare della sentenza del Tribunale di Belluno. Rapidamente, il caso aveva visto la dichiarazione, proveniente da un medico, di sospensione dal lavoro, nei confronti di otto operatori sanitari e due infermieri che avevano rifiutato il vaccino, per “impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista”. Il Tribunale ha infatti attribuito valore alla necessità per il datore di lavoro alla messa in sicurezza dei suoi dipendenti e delle parti terze.

Addotte a giustificazione sono le recenti dimostrazioni di efficacia del vaccino, tra gli altri, in Israele, nel bloccare la trasmissibilità del virus. I dipendenti, sospesi, verranno comunque reintegrate nel momento in cui il pericolo per la salute di altri operatori o terzi cessi.

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