Tra lenta ripresa e nuove prospettive formative: lo stato dell’arte del mercato del lavoro italiano

L’economia italiana chiude il 2017 con un PIL cresciuto del +1,5% su base annuale, un tasso di disoccupazione in lenta ma costante contrazione ed un’importante ripresa della produzione industriale e del settore dell’export.

I confortanti dati relativi all’anno da poco concluso mostrano una situazione di consolidata ripresa, ma specie per quanto riguarda il mercato del lavoro le criticità rimangono ancora varie e pesanti: secondo recenti stime elaborate dalla Fondazione Censis e da Confcooperative, in Italia il numero dei lavoratori senza contratto ammonterebbe a ben 3,3 milioni, un dato cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni; in più, il 2017 avrebbe segnato un nuovo boom dei contratti a termine, divenuti ormai una costante non solo per i giovanissimi, ma anche per i professionisti con molti anni di esperienza alle spalle.

Tra i segnali positivi, spicca senza dubbio la rinnovata tendenza delle aziende italiane, specie di quelle attive nel comparto industriale, ad investire nell’acquisizione di nuove tecnologie e nei percorsi di formazione del personale indispensabili per il loro corretto impiego.

Questo dato, legato anche al notevole successo delle iniziative promosse dal Piano nazionale Industria 4.0 (rinnovato per il 2018 con il nome di Piano Impresa 4.0 ed esteso anche a realtà imprenditoriali attive nel settore dei servizi) dimostra gli effetti dell’aumentato clima di fiducia delle imprese.

Riscontri positivi anche sul fronte della domanda di figure manageriali, consulenti e profili dirigenziali, tutte professionalità toccate in modo importante dalla crisi economica.

Se l’inversione di tendenza aveva già avuto luogo nel 2016, lo scorso anno l’emorragia occupazionale per dirigenti e consulenti manageriali non solo si arrestava definitivamente, ma registrava un netto incremento della richiesta, specie per le particolari figure esperte nei processi di “digital transformation” delle modalità di produzione, di gestione e di organizzazione del lavoro all’interno delle aziende.

Il dato relativo agli operatori del settore business illustra un trend più generale che, lentamente, sembrerebbe tornare a premiare quelle figure professionali in possesso di competenze altamente specialistiche, spesso frutto di una corposa esperienza sul campo, ma anche di un percorso di formazione continuativo nel tempo.

Fenomeno chiave degli anni a venire, sarà il sempre più netto affermarsi di quelle realtà che erogano percorsi di studio e di specializzazione fortemente settoriali ed orientati all’acquisizione delle esatte skill operative richieste dal mercato del lavoro.

Alcune Business School sono un fulgido esempio di questo particolare modello formativo, che riprende l’impianto dei tradizionali corsi gestiti dagli atenei, arricchendo la preparazione di stampo teorico con varie tipologie di esperienze finalizzate allo sviluppo di capacità tecniche e all’acquisizione di una fine conoscenza di quei “case study” utili per definire le strategie aziendali.

La struttura di un moderno master in amministrazione finanza e controllo – qui per un valido esempio – si articola in vari moduli che analizzano a fondo le varie tematiche nelle quali si articola questo complesso ambito professionale, aggiungendo esercitazioni in aula alla presenza di esperti e professionisti pronti a condividere la propria esperienza ed integrando lo studio degli strumenti informatici imprescindibili per i discenti che mirano ad un’immediata immissione in ruolo.

Interessanti anche i percorsi di stage e placement generalmente promossi dalle Business School, divenuti nel giro di pochi anni uno dei canali preferenziali utilizzati dalle grandi aziende per il reclutamento di figure junior e non solo.

La formazione, anche quella altamente specialistica, continua in conclusione a rappresentare l’investimento migliore per puntare alla definizione di una professionalità facilmente spendibile nel mercato del lavoro.

Commenta