“Silence”, il Cristianesimo in Oriente

In un articolo di qualche giorno fa avevamo presentato per grandi linee “Shutter Island”, il coinvolgente thriller di Martin Scorsese in cui viene trattato il tema del Male in correlazione ai disturbi psichici dei perpetratori, proponendo così la messa in scena di una delle cause da cui possono scaturire i crimini e le sofferenze umane.

In quell’occasione avevamo anche chiarito come il tema della violenza, spesso anche nella declinazione più cruenta del termine, non è affatto una rarità nella vasta produzione del regista di New York, rappresentando anzi forse il principale leitmotiv della sua ricca carriera.

Dunque oggi parleremo di un altro suo celebre film che fa del Male e del dolore l’elemento fondamentale, ossia “Silence”.

“Silence”, ispirato all’omonimo romanzo pubblicato dallo scrittore giapponese Shusaku Endo nel 1966, esce sui grandi schermi tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017.

La storia è ambientata in Giappone nel diciassettesimo secolo, periodo durante il quale le autorità del luogo perseguitano incessantemente tutti coloro che osano professare la religione cristiana.

I protagonisti, due giovani gesuiti portoghesi chiamati Rodrigues e Garupe, vengono informati del fatto che il loro confessore e mentore che era partito qualche tempo prima alla volta del Giappone per cristianizzare il paese, dopo essere stato lì torturato e minacciato di morte, aveva rinnegato la propria fede in Dio e aveva iniziato a vivere secondo le leggi e le tradizioni nipponiche.

Pertanto Rodrigues e Garupe decidono a loro volta di intraprendere questo stesso viaggio, un po’ per continuare nella missione di evangelizzazione, e anche un po’ per scoprire se realmente il loro maestro, padre Ferreira, aveva commesso apostasia e dunque sconfessato tutto ciò su cui aveva basato la sua vita fino a quel momento.

Il percorso dei due protagonisti si rivela sin dall’inizio enormemente complicato, essendo essi costretti ad assistere e a subire frequenti crudeltà da parte dei militari giapponesi, la cui fantasia nel progettare torture ed esecuzioni in grande stile viene evidenziata con minuzia dal genio di Scorsese.

Ed ecco che quindi possiamo tornare all’aspetto di maggiore rilievo: in “Silence” la violenza e la sofferenza sono ancora centrali ed essenziali nella vicenda. A cambiare è semplicemente l’origine di tali atti, ossia il conflitto religioso.

Questo film infatti descrive perfettamente il contesto storico e culturale del Giappone in quegli anni, ponendo la lente di ingrandimento sugli Inquisitori e il trattamento che costoro riservavano ai credenti cristiani.

La pratica più ricorrente, volta proprio ad evidenziare l’aspetto dell’intolleranza religiosa, consisteva nell’imporre ai cristiani catturati di rinnegare Dio, calpestando la Sua effigie riposta sul terreno. Nel momento in cui i prigionieri si fossero rifiutati, questi ultimi sarebbero stati sottoposti alle torture più inumane immaginabili.

Così, senza anticipare altro (per non privare nessuno del gusto della visione), concludiamo dicendo che “Silence” costituisce un’ulteriore tessera del mosaico di Martin Scorsese, mosaico la cui immagine complessiva mira a delineare tutto ciò che sta all’origine dei misfatti di cui l’essere umano si è reso protagonista – e continua ad esserlo- nel corso della storia.

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