Scuole, col nuovo DPCM misure più localizzate: famiglie e studenti chiedono l’apertura

Con il nuovo decreto, promulgato ieri, è stato adottato un nuovo meccanismo di individuazione dei gradi di gravità per decidere la chiusura delle scuole. Nelle regioni che si trovano in zona rossa, rimane la didattica a distanza al 100%, mentre la novità riguarda le zone gialle e arancioni, in cui saranno i presidenti di regione a decidere le chiusure, al verificarsi di più di 250 contagi ogni 100.000 abitanti, nell’arco di sette giorni. Un sistema del tutto nuovo dunque, che responsabilizza maggiormente i governatori locali, chiamati a prendere una decisione superata una certa soglia di pericolo.

Spiegandolo ancor più lineare, qualora su 100.000 abitanti, prendendo in considerazione una settimana, vi fossero 250 nuovi contagi, scatterebbe la possibilità per i governatori di chiudere le scuole. Un provvedimento, questo, probabilmente generato dalle richieste dei pubblici ufficiali regionali e provinciali, com’era accaduto con Bonaccini in Emilia-Romagna, di aver maggior spazio di manovra in termini di misure precauzionali per il loro territorio. Inoltre, la differenziazione delle misure non dovrà interessare l’intera regione, ma potrà riferirsi anche alla singola provincia.

Non si è fatta attendere la risposta di famiglie e studenti. “La scuola deve rimanere aperta con qualsiasi colore” è l’appello rimbalzato su social e fuori da alcune scuole. Un grosso problema legato a questo tema è anche quello dell’interruzione dei congedi per le famiglie, terminati il 31 dicembre. È scattato puntuale l’intervento del Ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini che ha assicurato lo stanziamento di 200 milioni per congedi e DAD, anche con effetto retroattivo. Sono previsti sia il passaggio al lavoro agile per genitori di ragazzi infra sedicenni malati di Covid, sia il congedo per i genitori di ragazzi di 14 anni o meno, fissato al 50%.

Da registrare anche la polemica tra il neo-ministro dell’Istruzione Bianchi e i partiti di maggioranza, soprattutto PD e M5S. Il ministro aveva affermato come fosse di poca utilità procedere alla chiusura delle aule, prima di aver con successo posto in essere misure che prevengano ai ragazzi di incontrarsi al di fuori della scuola, generando in ugual modo assembramento. Al contrario, una linea più prudente era stata richiesta dai partiti di cui sopra.

La protesta proveniente dagli studenti non risulta priva di fondamento: Save The Children stima che siano andati persi nel mondo 74 giorni di istruzione scolastica su una media di 190 annuali, quindi oltre un terzo dei giorni. Naturalmente, le cifre toccano in maniera più forte realtà povere e tecnologicamente meno avanzate, come Africa, Caraibi, Asia mediorientale. In Italia, attira l’attenzione il fatto che la didattica in presenza sia stata di gran lunga più diffusa nelle regioni del nord, rispetto a regioni come Campania, Puglia e Calabria. Inoltre, abbiamo scritto qualche tempo fa dei disagi provocati dalla DAD agli studenti, soprattutto in termini di difficoltà nel mantenere la concentrazione.

Tali cifre, lette alla luce dei sempre più allarmanti dati ricevuti dai test nazionali sulla preparazione degli studenti, che nel 2019 stimavano il rapporto degli studenti che non raggiungevano il livello minimo richiesto per la fascia d’età in matematica, italiano e inglese a 2 studenti su 5. Ancor più allarmanti i dati che segnalano un’inappropriatezza sin dalle medie dei ragazzi rispetto alle materie basilari attorno al 40%, con picchi sino al 56% di ragazzi che presentano livelli molto bassi di inglese e matematica nel Sud Italia.

Anche i rapporti OCSE-Pisa hanno portato dati sempre meno confortanti, con l’Italia che si classifica ultima in Europa per comprensione di un testo scritto, in un’analisi effettuata su campioni di ragazzi di 15 anni. Fanalino di coda lo si è anche nell’età media per il primo lavoro e sono tanti altri i dati che attestano un’inadeguatezza del sistema scolastico italiano nella competizione con i paesi “rivali”. Dunque, che possa essere giustificata la rabbia per un ricorso troppo sbrigativo alla chiusura dell’istruzione, sulla falsariga del mantra ormai sdoganato che legge “con la cultura non si mangia”? Che possa essere il momento di mutare il passo riguardo a questo tema?

Per il futuro dell’Italia, la mia risposta è sì.

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