Perché non si parla della democrazia in Africa?

Potremmo definire l’Africa come “tante afriche”, come uno scenario vario e complesso, se guardassimo al continente africano senza preconcetti o schemi preimpostati. Tuttavia, a ormai sessant’anni dalla fine della colonizzazione, nel pensiero occidentale l’idea dell’Africa è ancora legata a pregiudizi e semplificazioni. Gli occidentali hanno un’immagine dell’Africa estremamente ridotta: l’Africa è il luogo delle malattie, delle guerre, dei colpi di stato, delle violenze.  Quando si parla della democrazia in Africa, spesso si lascia sottintendere che il fallimento di quest’ultima sia intimamente connesso ai valori della cultura africana, ritenuti da molti incompatibili e lontani dai valori democratici, senza soffermarsi a riflettere sulle devastanti ripercussioni che la sottomissione all’Occidente possa aver provocato per tutto questo tempo.

Possiamo osservare come l’ottica fortemente eurocentrica tende a negare una qualsiasi storia democratica dell’Africa, proponendo invece una visione di quest’ultima estremamente arretrata e incapace di accogliere la democrazia. La democrazia africana senza dubbio risulta diversa da quella occidentale, ma non per questo deve essere considerata inferiore o non valida. Essa si basa infatti su un retroterra culturale proprio del popolo africano, che in tal senso la rende adatta al contesto nel quale deve operare.  Il principale valore dell’Africa è proprio quello del comunitarismo, dell’etica dell’ubuntu (“io sono perché noi siamo”), dell’unità e della lealtà reciproca tra le persone. La democrazia africana si basa soprattutto sull’etica della comunanza dei beni e della morale, al contrario della democrazia occidentale che è caratterizzata dalla logica del libero mercato, del liberalismo.

Gli europei durante la colonizzazione conobbero in questi territori regni democratici che però demolirono per imporre con successo un progetto di colonizzazione occidentale ben preciso. Pertanto, l’imposizione di un’ideale di democrazia in Africa attraverso le leggi coloniali diverge dalla cultura locale, e per molti osservatori questa distanza ha contribuito a creare nel contesto africano una cultura nuova, moderna che ha causato distorsioni piuttosto che progresso, che ha danneggiato la società e che rappresenta la causa principale della corruzione.

È ormai evidente come l’imposizione continua di una logica occidentale ha causato dei veri e propri danni rispetto alla cultura e ai valori di questi territori. Il principale errore dell’Occidente è quello di pensare di introdurre un determinato sistema, quello della globalizzazione, in altri contesti come quello africano, e pretendere che questo modello venga adottato e assimilato in poco tempo. Questo tipo di pensiero fortemente occidentalocentrico ha creato le sue conseguenze e le sue distruzioni in un contesto in cui il commercio globale o la costruzione delle grandi città non sono idee alla base della cultura africana. Un processo quello portato avanti dall’Occidente che riproduce l’alienazione propria della schiavitù e della colonizzazione.

Nel corso degli anni si è operato un vero e proprio disconoscimento delle tradizioni africane sulla base di un’epistemologia monoculturale, ovvero un approccio che propone una precisa cultura come modello per interpretare le altre culture e le altre tradizioni. Possiamo ricollegare a questa prospettiva anche la propensione a negare la pluralità e la diversità di un determinato contesto, proponendo al loro posto un’immagine universale di quel sistema. Il disconoscimento della cultura africana assume quindi anche un connotato riduttivo, in quanto si basa sul rifiuto delle diversità di questo continente, presentando un’immagine unica dell’Africa. È evidente come un simile ragionamento ostacola un rapporto interculturale.

Quindi per concludere si potrebbe dire che è necessario guardare all’Africa non attraverso i nostri schemi ma piuttosto a mente libera e scoprire cose che magari non potevamo immaginare. Il riconoscimento dell’altro, delle sue differenze e del suo potenziale ci permetterebbe di comprendere il dinamismo e l’autonomia di una storia, di una cultura diversa dalla nostra come quella africana, abbandonando definitivamente la relazione asimmetrica che ha guidato fino ad oggi le relazioni tra l’Africa e il resto del mondo.

Mi piacerebbe concludere ricordando le parole di Anne-Cécile Robert: «L’Africa esprime valori e mentalità “altre”, che potrebbero rendere un buon servizio a un mondo sull’orlo del baratro. Questi valori che si trovano in Africa e che si distinguono da quelli promossi dall’Occidente capitalista riguardano: un rifiuto della tirannia del tempo, un potere e un’autorità indivisibili, un rapporto differente dell’individuo alla collettività, un’accettazione e una canalizzazione delle passioni (con i riti), una resistenza all’accumulazione delle ricchezze, un inserimento pacifico nell’ambiente. Questi valori sembrano il negativo – piuttosto il positivo – del mondo occidentale mondializzato. Lasciano intravedere che l’evoluzione del mondo potrebbe effettuarsi altrimenti, in modo più equilibrato, più modesto, meno predatorio, più preveggente».

 

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