Michael Laudrup, la stella di Danimarca

Oggi 15 giugno Michael Laudrup, vecchia gloria del calcio italiano ed europeo, compie 56 anni e noi cogliamo l’opportunità per ripercorrere i passaggi fondamentali della sua carriera e celebrare il suo immenso talento.

Michael Laudrup esordisce in prima squadra a 18 anni con la maglia del Brondby. Nell’estate dell’82 Laudrup inizia ad indossare i colori della Danimarca. Alla fine della stagione viene nominato miglior calciatore danese dell’anno e tanto basta per attirare le attenzioni dell’allora Presidente della Juve Giampiero Boniperti.

Alla Vecchia Signora però le caselle destinate agli extracomunitari sono entrambe occupate. Ed ecco allora che la dirigenza bianconera decide di girare il ragazzo in prestito biennale alla Lazio, così da permettergli di ambientarsi alla Serie A. Nonostante i risultati negativi raggiunti dai biancocelesti in quelle due annate, Michael dimostra comunque di avere stoffa. Pertanto la Juve richiama il danese alla base e cede Boniek alla Roma.

Il ragazzo a Torino riesce immediatamente a scalare posizioni e diventa sin da subito uno dei protagonisti di quella cavalcata che avrebbe poi portato all’ombra della Mole lo scudetto e la Coppa Intercontinentale.

Giocate e gol pesantissimi: su tutti quello con cui firma il 2 a 2 nella finale del Mondiale per club vinta poi ai rigori (nonostante l’errore dal dischetto proprio del danese) contro l’Argentinos Junior, senza dimenticare la rete contro il Milan che sancisce, alla penultima di campionato, il definitivo sorpasso sulla Roma.

Le successive tre stagioni alla Juve, complici alcuni fastidiosi infortuni, sono alquanto complicate. Nel 1989 giunge dunque il momento di voltare pagina e vola così a Barcellona.

Mostrando al mondo un calcio a tratti irresistibile, i blaugrana allenati da Cruijff diventano quattro volte campioni di Spagna e, nel 1992, si aggiudicano la Coppa dei Campioni, battendo in finale la Samp di Vialli e Mancini.

Col tempo tuttavia Laudrup viene spinto sempre più ai margini del progetto e così, nel 1994, il fantasista sorprende tutti passando dalla parte del nemico: si sfila di dosso la maglietta blaugrana per vestire la camiseta blanca.

Già nella prima stagione a Madrid Michael strappa il campionato alla sua ex squadra, divenendo così il primo giocatore a vincere cinque volte consecutivamente la Liga. L’anno seguente non è però altrettanto positivo. Il Real Madrid non centra nessuno degli obiettivi stagionali e nella sessione estiva Laudrup prepara nuovamente le valigie. Dopo una breve esperienza in Giappone, il fantasista torna in Europa, all’Ajax.

Nonostante il massiccio rinnovamento di rosa affrontato dai Lancieri in quegli anni, l’Ajax chiude la stagione (l’ultima da calciatore di Laudrup) conquistando il double nazionale. L’atto conclusivo della carriera di Michael è la Coppa del Mondo del ’98 in Francia.

La sua ultima partita ufficiale coincide con la cocente sconfitta rimediata dalla sua Danimarca nei quarti di finale per mano del Brasile di Ronaldo.

Un percorso di certo invidiabile, al quale tuttavia manca la gemma che, a posteriori, sarebbe risultata la più luccicante di tutte. Ci riferiamo ovviamente al campionato europeo del 1992, di cui tutti conosciamo la storia.

A pochi giorni dall’inizio della competizione la Jugoslavia, sconvolta dalla guerra, viene esclusa dal torneo. Viene così ripescata la Danimarca, i cui giocatori sono ormai da settimane in vacanza. Allora mister Richard Moller-Nielsen allestisce con tutta la fretta e la disorganizzazione del caso la spedizione con cui avrebbe poi incredibilmente trionfato in Svezia.

Tra i convocati non figura però il ragazzo più talentuoso a disposizione dei danesi: proprio Michael Laudrup. Egli infatti, non godendo di un ottimo rapporto col C.T. Nielsen, giusto qualche tempo prima aveva deciso di non rispondere ad eventuali chiamate della nazionale.

Michael Laudrup è sicuramente uno dei talenti europei più limpidi del dopoguerra, anche se resta forte la sensazione che il danese non abbia espresso interamente il suo potenziale, alimentando così numerosi rimpianti degli innamorati del pallone.

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