Fino a poco tempo fa, l’attenzione sull’età in ambito riproduttivo si concentrava quasi esclusivamente sulla donna. Tuttavia, nuove evidenze scientifiche stanno modificando questa visione. Un importante studio internazionale, presentato oggi al congresso ESHRE 2025 (European Society of Human Reproduction and Embryology) a Parigi, dimostra che anche l’età paterna avanzata ha un impatto significativo sul successo delle gravidanze, anche in condizioni ideali come l’impiego di ovociti provenienti da giovani donatrici.
Lo studio, condotto su un vasto campione di coppie che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita eterologa, ha rilevato un dato sorprendente: più il padre è avanti con gli anni, maggiore è il rischio di aborto spontaneo, anche quando la qualità degli ovuli è ottimale. Inoltre, i dati indicano un tasso di natalità più basso nelle coppie in cui l’uomo ha un’età più elevata.
La componente maschile pesa più del previsto
Questi risultati ribaltano in parte il paradigma secondo cui, una volta garantita la qualità dell’ovocita (soprattutto se proveniente da una giovane donatrice), il successo della gravidanza sarebbe pressoché assicurato. Al contrario, la qualità del seme e, più in generale, i fattori legati all’età dell’uomo incidono sull’esito della gravidanza, anche in ambienti medicalmente controllati.
Secondo gli autori dello studio, con l’aumentare dell’età paterna si verificano mutazioni genetiche e instabilità epigenetica nello sperma, che possono compromettere l’impianto embrionale o lo sviluppo fetale. Anche il microbioma seminale e lo stress ossidativo aumentano con l’età, influenzando la qualità dell’embrione e il mantenimento della gravidanza.
Ricadute cliniche e sociali
I dati presentati a Parigi aprono nuove riflessioni nel campo della medicina riproduttiva. Finora, i protocolli di procreazione assistita tendevano a porre l’accento sull’età materna, mentre l’età del partner maschile veniva considerata secondaria. Questo studio sollecita un cambio di prospettiva nella consulenza alle coppie, spingendo i medici a valutare anche i fattori anagrafici maschili quando si pianifica un percorso di fecondazione assistita.
A livello sociale, il tema potrebbe suscitare un dibattito più ampio: se molte donne scelgono di posticipare la maternità per motivi personali o professionali, anche molti uomini diventano padri in età avanzata, spesso ritenendo che ciò non comporti rischi biologici significativi. I risultati di questa ricerca invitano a una maggiore consapevolezza e a una revisione delle informazioni fornite alle coppie, indipendentemente dal genere.
Lo studio presentato all’ESHRE 2025 rappresenta una svolta importante nel campo della fertilità: la fertilità maschile non è immune al tempo. Anche in un contesto ottimale, come quello della PMA eterologa con ovociti giovani, l’età del padre gioca un ruolo cruciale nella riuscita di una gravidanza. Una consapevolezza che potrebbe cambiare il modo in cui si pianificano le famiglie e si costruiscono i percorsi di accompagnamento alla genitorialità.
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