Kurt Cobain è stata una delle figure cardine degli anni 90, protagonista indiscusso della scena grunge con i suoi Nirvana si distingueva in particolar modo per il suo stile inconfondibile durante i concerti. Ricorre oggi l’anniversario della sua morte per un musicista che è stato di sicura ispirazione per le generazioni a venire e vera icona cult di quel periodo.
I PRIMI ANNI
Kurt Cobain nasce nel febbraio del 1967 ad Aberdeen, città che lui stesso definirà monotona e noiosa. La sua infanzia non è delle più facili, con il divorzio dei genitori che segnerà per sempre ed in maniera indelebile il suo carattere.
A 14 anni gli viene regalata la prima chitarra, regalo che segue al manifestarsi della sua smisurata passione per la musica. Sarà lo strumento che lo accompagnerà per tutta la vita e con la quale svilupperà un rapporto estremamente personale, decidendo di suonarla come mancino per distinguersi da tutti gli altri, nonostante fosse ambidestro. Una scelta non comune nel mondo della 6 corde.
I suoi primi approcci sono con pezzi hard rock, con AC/DC e Led Zeppelin in prima fila, ma non disdegnando nemmeno gruppi più classici come i Beatles o gruppi della scena punk come i Ramones.
Durante gli anni al liceo comincia a fare uso di erba, sperimentando una delle prime dipendenze con cui si troverà ad avere a che fare per il resto della sua vita.
Come si potrebbe intuire Cobain non ha un carattere d’acciaio, droga e alcool finiranno per essere amici inseparabili, amici dei quali però non ci si può fidare nonostante un imminente infido sollievo.
Anni dopo Tarantino cercò di convincerlo ad interpretare il ruolo dello spacciatore in Pulp Fiction, Cobain rifiutò ma l’intuizione parve teoricamente giusta. Ad ogni modo l’uso di queste sostanze abbinate ad un carattere docile, sensibile e solitario saranno poi alcune delle cause della sua morte.
COBAIN E I NIRVANA
Nel 1985 comincia la storia di quella che sarebbe diventata di li a poco una della band più iconiche di sempre. In quegli anni infatti Cobain fa la conoscenza di Krist Novoselic, californiano con genitori croati. Il duo sarà la base dalla quale nasceranno i Nirvana. Con Cobain alla chitarra e alla voce, e Novoselic al basso manca quindi solo la batteria da definire, con quest’ultima che vede avvicendarsi Chad Channing e Dale Drover. Non è ancora il trio tipo ma poco ci manca.
Con questa formazione i neonati Nirvana incidono Bleach, un disco sicuramente acerbo e altalenante, che alterna qualche classico della band (pochi) a canzoni con grande potenziale con qualche riempitivo di troppo. In generale nulla che non si possa aggiustare, soprattutto considerando che è comunque un disco di esordio, ma già con questo lavoro i Nirvana mettono le basi per quello che sarà il loro stile inconfondibile.
Tanta potenza e pochi assoli (come la moda del momento imponeva), cantato urlato e sporco alternato a calmo e pulito (come in puro stile Pixies), suono aggressivo e diretto anch’esso alternato a momenti più melodici e di riflessione.
Il disco in sintesi non è male, ma sarà il successivo ad aprire le porte del vero successo alla band.
Nevermind del 1991 è infatti una autentica pietra miliare del rock, un disco che è riuscito ad entrare nell’immaginario comune grazie sia alla sua musica che alla sua copertina che ritrae un neonato inseguire un dollaro appeso ad un amo all’interno di una piscina.
Qui le canzoni risultano essere maggiormente centrate, passando dalla delicata “Polly” alla splendida “Come as you are”, senza dimenticare l’esplosiva potenza di “In Bloom” e il caos incontrollato della traccia fantasma “Endless, Nameless” che contrasta la sospirata “Something in the Way”.
Il pezzo forte è ovviamente “Smells like teen spirit”, canzone che splende grazie ad un riff di grande impatto, ad una voce potente ma struggente e grazie ad un assolo semplice ed essenziale che ben si cala però nell’atmosfera della canzone.
I Nirvana sono ora una rock band di fama mondiale, ed incidono solo due anni dopo il seguito intitolato “In Utero”.
Con Steve Albini alla produzione (Pixies, Neurosis e Atomizer tra gli altri) e Dave Grohl alla batteria (subentrato già in Nevermind e futuro fondatore dei Foo Fighters) l’album vede una evoluzione del suono della band che si fa sempre più aggressivo, inquieto, doloroso.
Il disco suona bene, “Heart Shaped Box” è un capolavoro, l’introduttiva “Serve the Servants” è un’ottimo pezzo, così come la controversa “Rape Me”, che sembra ricalcare la ricetta vincente di “In Bloom” del precedente album.
Le composizioni sembrano però in qualche modo riflettere lo stato d’animo di una band ormai logora dai lunghi tour e dal massiccio uso di sostanze. Subito dopo l’uscita del disco Kurt Cobain comincia a mostrare inoltre segni di cedimento in maniera preoccupante sia attraverso atteggiamenti e stravaganze, sia attraverso una overdose (o tentativo di suicidio andato andato a vuoto?) nel 1993 a Roma. Sarà il breve inizio di una veloce fine.
LA MORTE E LA SUA EREDITA’
Un mese dopo i fatti di Roma, Kurt Cobain si suicida con un colpo di fucile nella sua casa nello Stato di Washington, lasciando la moglie Courtney Love (con la quale ebbe una tormentata relazione) e la neonata Frances Bean.
Sulla scena viene rinvenuta inoltre una lettera che toglie ogni dubbio sulla matrice suicida del caso, con le ultime parole dell’artista che sono un vero e proprio testamento.
Coincidenza vuole che la sua morte avvenga a 27 anni, facendolo entrare di diritto nel Club dei 27, ovvero coloro che sono tragicamente morti a quell’età. I buoni nomi nel club non mancano, ma di fare compagnia ai compianti Hendrix, Morrison, Jones e Joplin forse non ce n’era proprio bisogno.
Viene a mancare in questo modo uno dei personaggi più controversi della storia del rock, pieno di contraddizioni ed inquietudini, estremamente sensibile ma allo stesso tempo rabbioso come pochi, per una altalena di emozioni ha accompagnato lui e la sua musica lungo tutta la sua vita.
Chi meglio ha saputo descrivere l’artista è stata però Serena Dandini, la quale dopo una puntata con i Nirvana ospiti su Rai 3 affermò:
” Incontrandolo ho avuto l’impressione di una persona di una sensibilità estrema, indifesa, che difficilmente riuscivi a guardare negli occhi, con uno sguardo di paura come di un cucciolo braccato dal mondo”.
La sensazione insomma è che la gente non abbia saputo cogliere ciò che c’era dietro quel ciuffo biondo e quell’aria da arrogante rock star, ovvero solo un ragazzo che cercava di far pace con i suoi demoni per trovare un posto nel mondo. Un po’ come avviene per tutti noi.