Israele e le restrizioni sui matrimoni


Lo Stato di Israele ha confermato la legge che impedisce ai propri cittadini che contraggono matrimonio con persone di nazionalità palestinese provenienti dalla Cisgiordania o dalla Striscia di Gaza di stabilire il nucleo familiare entro i confini israeliani.

Questa disposizione era stata introdotta già nel 2003, e in quel caso fu presentata come “misura di emergenza” dovuta a non meglio definite ragioni di sicurezza.

L’obiettivo poteva dunque essere presumibilmente ricondotto alle annose tensioni presenti tra le due fazioni, tensioni che spinsero lo stato d’Israele ad emanare un provvedimento che limitasse fortemente la presenza dei palestinesi sul proprio territorio.

Tuttavia la legge iniziò sin da subito ad essere rinnovata di anno in anno, e non ci volle troppo tempo affinchè fossero le stesse istituzioni israeliane a palesare quelle che erano, e continuano ad essere, le reali motivazioni a sostegno di tale normativa.

L’allora Primo Ministro israeliano Ariel Sharon infatti, nel 2005, aveva dichiarato apertamente che fosse necessaria l’esistenza di uno Stato ebraico. Dunque, va da sé che ogni misura atta a scoraggiare i matrimoni tra ebrei e palestinesi, o comunque volte ad allontanare queste coppie da Israele, sia utile a costituire un popolo quanto più omogeneo e uniforme possibile.

Lo stesso concetto fu ripreso, con termini a dir poco più forti e coloriti, da Asher Grunis, un giudice dell’Alta Corte Israeliana, in occasione di un ricorso presentato contro la legge in parola.

Grunis disse che i diritti umani non devono essere un grimaldello per spalancare le porte verso il suicidio nazionale.
Da queste parole pertanto si evince alquanto facilmente che lo scopo ravvisabile sia quello di manipolare la composizione demografica della popolazione, contrastando con decisione ogni potenziale pericolo per la omogeneità razziale del paese.

Tutto ciò, oggi più che mai, non può che risultare inconcepibile. Non sono affatto pochi i tentativi avvenuti nel passato di stabilire divieti di mescolanza tra membri di razze, etnie e nazionalità diverse, il che dovrebbe essere sufficiente per far suonare forte e chiaro il campanello di allarme.

A questo proposito, proprio le parole sopramenzionate del giudice Grunis ricordano da molto vicino quelle pronunciate Daniel Malan, il Primo Ministro dello stato del Sudafrica durante l’apartheid: “L’uguaglianza condurrebbe senza dubbio il Sudafrica bianco al suicidio nazionale”.

In conclusione dunque, tenendo anche bene a mente le ulteriori restrizioni imposte dallo stato israeliano in termini di matrimoni misti (ossia le nozze celebrate tra un ebreo e un non ebreo), appare chiaro come, al di là dei conflitti armati che devastano le popolazioni di ambedue le parti, anche queste prepotenti interferenze nella vita privata e familiare dei cittadini costituiscono un vistoso strappo nel tessuto dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto tale, a prescindere dalla provenienza o dalla religione professata.

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