Immuni: probabilmente non sarà obbligatoria

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Il governo, in attesa di una risposta affermativa del Parlamento, si prepara a lanciare l’app Immuni, un programma da installare sul telefono cellulare dei cittadini che dovrà accompagnarci per tutta la cosiddetta “Fase 2”.

Una proposta, quella del tracking delle persone, che solleva non poche problematiche dal punto di vista della privacy, per alcuni un’idea di tipo quasi orwelliano. Forse un paragone troppo spinto quello con 1984 ma è sempre lecito interrogarci sulle nostre libertà.

E’ innegabile che le suddette in quest’epoca storica, data l’emergenza epocale a cui siamo di fronte, siano state ristrette come non avveniva quantomeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dall’era delle dittature e delle tirannie.

Ora Immuni ci mette davanti alla possibilità di scegliere di fornire i nostri dati sugli spostamenti al nostro governo, per consentigli di sapere dove andiamo in ogni momento, in modo da tracciare i contatti dei futuri contagiati, ed evitare una rovinosa seconda ondata.

Quindi un’opzione che, per quanto volontaria, rischia nella peggiore delle ipotesi di non essere reversibile. O che potremmo non sapere se la recessione del diritto di utilizzo dei dati avvenga davvero. Del resto però facciamo lo stesso con le aziende.

Quante volte, navigando su internet, clicchiamo senza pensarci troppo su su “accetta cookies”? Eppure, con un semplice gesto di indice, stiamo rinunciando di fatto alla nostra privacy. Difatti, subito dopo, quando apriamo il sito web successivo, succede qualcosa di strano.

Se abbiamo cercato “frigorifero” su Google, alla prossima apertura della home page di Amazon saranno proprio questo tipo di elettrodomestici ad esserci proposti in bella vista. E anche in altre pagine, domineranno le inserzioni pubblicitarie.

La nostra privacy è già un miraggio, non dobbiamo essere teoricamente troppo preoccupati. Eppure, dare i nostri dati ad una grande multinazionale e allo Stato non è la stessa cosa: l’obiettivo di fondo è terribilmente diverso.

Se da un lato c’è il goal di migliorare un servizio, ovviamente non per beneficenza bensì per lucrare e guadagnare, dall’altra c’è il controllo. Cosa possono fare di veramente così male aziende multinazionali con i nostri dati sulle preferenze di mercato? Cosa invece può fare uno Stato con i nostri dati sulla saluta, sulla posizione e sugli spostamenti?

Specialmente in un’epoca come quella che viviamo, in cui probabilmente diamo eccessivamente per scontata la tenuta democratica della società. Il che ovviamente non è un invito a non scaricare Immuni, anzi, è un dovere morale per cercare di tutelare la collettività.

L’importante è costantemente interrogarsi e prestare attenzione alle nostre libertà, così come è un diritto pretendere perfetta trasparenza da parte dell’autorità. Per fortuna per il momento si sta andando nella giusta direzione.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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