Il Coronavirus è colpa della globalizzazione?

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Poco si sa del Coronavirus, certo è che viene da un mercato di animali selvatici a Wuhan, in Cina, nella provincia dell’Hubei. Gli animali incriminati sembrano essere un pipistrello ed un pangolino.

Due elementi della fauna di due continenti, entrambi precedentemente noti per essere vettori di malattie virali, messi a contatto pericolosamente in gabbie vicine o impilate, il che gli ha consentito di scambiarsi involontariamente fluidi corporei, feci e sangue.

Una ricetta esplosiva che poi è stata fatta detonare uscendo da Wuhan e arrivando a più di un milione di contagiati, oltre a tutti quelli paucisintomatici  ed asintomatici, che non scopriremo mai.

La propagazione in tutto il mondo è avvenuta incredibilmente in fretta, con la Cina che ha perso anche il primato di paese con maggior numero di contagi e morti (rispettivamente a favore, se così si può dire, di Stati Uniti ed Italia).

Che ruolo ha la globalizzazione in tutto questa storia?

Certamente le epidemie sono sempre esistite, anzi, ben peggiori di questa, speriamo non solo per il momento. In un mondo non globalizzato la peste nera infetto praticamente tutti i cittadini europei, mentre la spagnola piegò un continente con milioni di morti, all’alba del secolo scorso.

Sarebbe però decisamente affrettato non considerare la velocità e facilità di movimento come complici di un’espansione dell’epidemia tanto rapida. Gli aerei sono diventati dei cavalli di Troia che grazie ai continui scali, e in Italia ne sappiamo qualcosa, sono divenuti incontrollabili.

Nessuno screening all’aeroporto né alcuna chiusura dei voli dalla Cina ha aiutato a fermare il contagio. La globalizzazione non può essere arrestata praticamente in nessun modo.

Certo è che anche se il ruolo della globalizzazione nell’emergenza è dubbio, la seconda sembra aver dimostrato tutti i limiti della prima. Tutti i commerci ed i movimenti di beni e persone sono stati immediatamente arrestati.

Mostrando tutti i limiti del sistema socioeconomico esistente: la rottura di un solo ingranaggio comporta una rovinosa caduta a catena di tutti gli altri meccanismi. Un sistema socioeconomico che, cogliendo la triste occasione, deve poter essere ripensato e perfezionato.

Il che non significa che si debba passare all’estremo opposto, continuare sulla strada dell’isolamento nazionale e della limitazione dell’attività economica onde evitare la formazione di squilibri. Una giusta via di mezzo dovrebbe essere la soluzione.

Per questo è necessaria un’intensa attività accademica, un lavoro fino a tarda notte da parte del mondo intellettuale per ripensare la globalizzazione, per far sì che la prossima pandemia non rischi ancora di essere una tragedia umanitaria per i paesi meno sviluppati o in via di sviluppo.

Per evitare che la prossima crisi non si tramuti in una crisi sociale mondiale, rischiando di diffondere (e in Italia ne sappiamo o ne stiamo per sapere qualcosa) il morbo, pericoloso quanto il Coronavirus, della disoccupazione e della marginalità sociale.

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