Il caso Regeni, dalla prospettiva dei diritti umani

Uno dei momenti di maggior rilevanza, al di fuori delle vicende legate al Covid-19, dell’anno passato ha visto l’incarcerazione da parte delle autorità giudiziarie egiziane dello studente e ricercatore bolognese Patrick Zaki. Una vicenda che richiama quella di Giulio Regeni, ucciso anch’egli in Egitto tra gennaio e febbraio 2016. Della vicenda si è parlato ormai molto, ne abbiamo parlato anche noi, qui, ma le recenti e giuste campagne di sensibilizzazione rivolte ad un’azione governativa che si proponga seriamente di riportare a casa il proprio cittadino, la cui incarcerazione ha ben poco di legale, vanno di pari passo con il bisogno di giustizia anche in merito alla vicenda Regeni.

Proviamo allora a implementare un’analisi di quella che potrebbe essere la procedura giudiziaria di un eventuale processo nei confronti delle autorità egiziane e quindi, in ultima istanza, dell’Egitto stesso. Il sistema giudiziario egiziano è ormai dal 2013 un vago ricordo del potere indipendente che è richiesto dalle più basilari regole dello Stato di Diritto e le più alte cariche del potere della magistratura sono ormai interamente nominate dal presidente, con la conduzione delle ricerche probatorie affidata al Ministero dell’Interno.

Dunque, attendere giustizia da parte delle autorità giudiziarie egiziane in merito ad un caso che, dalle ultime risultanze, sembra aver confermato l’interessamento della forza pubblica, appare un’attesa piuttosto vana.

Quale la possibile alternativa allora? Il ricorso alle corti dei diritti umani.

L’Egitto è paese firmatario della Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici, strumento di garanzia di diritti umani promosso dalle Nazioni Unite, per mezzo della Commissione per i Diritti Umani. Ciononostante, l’Egitto non compare tra i firmatari del Protocollo Opzionale a tale strumento, che attribuirebbe le questioni lamentate contro i paesi membri alla giurisdizione della Commissione per i Diritti Umani.

Dunque, per garantire l’accesso alla Corte, sarebbe necessario far riferimento alla Corte Africana dei Diritti degli Uomini e dei Popoli, la quale basa la propria giurisdizione sulla violazione dei diritti affermati nella Carta Africana dei Diritti degli Uomini e dei Popoli, cugina oltremare della nostra CEDU. L’Egitto è sia firmatario della Convenzione, sia del Protocollo che attribuisce la giurisdizione alla Corte dei propri casi. Inoltre, non comporta un ostacolo il fatto che il ricorso sia effettuato da un cittadino non appartenente ad un paese membro, è sufficiente che venga condotto contro uno dei paesi membri

Il ricorso poggerebbe sugli articoli 4, 5 e 6, che tutelano il diritto della vita e all’integrità della persona, il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il diritto alla libertà della persona. Questi ultimi sono applicabili senza difficoltà anche al bolognese Patrick Zaki. Ad ogni modo, è recente un commento specifico all’articolo 4 da parte della suddetta Corte Africana, il quale omogeneizza l’interpretazione del diritto alla vita a quella delle maggiori corti dei diritti umani internazionale, nel senso che la violazione del diritto alla vita interviene anche meramente nel momento in cui un caso di uccisione non viene sufficientemente indagato.

Per ricevere un primo assaggio di giustizia, dunque, non sarebbe nemmeno necessario dimostrare l’effettivo coinvolgimento da parte della polizia egiziana nell’uccisione effettiva, che è comunque molto probabile, fatti alla mano, ma sarebbe sufficiente indicare le falle immense nelle indagini, le quali violano un comportamento esplicitamente richiesto alla polizia, quello di fare tutto quanto in proprio potere perché l’indagine sia condotta in maniera efficace. Dunque, si aprono ulteriori spiragli di condanna nei confronti dell’Egitto per violazione del diritto alla vita nel caso Regeni.

Quello che manca è solamente l’avvio dei procedimenti, i quali possono essere intentati sia da privati cittadini che ne abbiano interesse, come i familiari, ma anche dal paese di provenienza. Si tratterebbe di un segnale importante per l’Italia, anche se al momento ci accontenteremmo addirittura che il Governo agisse in coerenza con le proprie parole anche solamente modificando le proprie relazioni commerciali con l’Egitto, o attuando le basilari mosse diplomatiche che sono suggerite da una situazione di questo tipo.

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