Greenwashing: il vanto della sostenibilità

Il greenwashing o ambientalismo di facciata non è un fenomeno nuovo ma nel tempo sta diventando una strategia sempre più diffusa. In un momento come il nostro dove parlare di eco-sostenibile sta diventando sempre più concorrenziale, bisogna prestare la giusta attenzione alla veridicità delle informazioni.

Le origini

Il greenwashing è una strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo.”

La parola è il risultato della combinazione di due parole di origine inglese, traducibili in italiano come ‘lavarsi nel verde’, da green, ovvero verde in termini ecologici, e whitewashing, l’attività di nascondere fatti spiacevoli.

Il primo a utilizzare questo termine fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld nel 1986, con lo scopo di condannare la pratica sempre più diffusa nelle catene alberghiere che consisteva nel chiedere agli ospiti di riutilizzare gli asciugamani, facendo leva sull’impatto ambientale. Quando la motivazione era di tutt’atro tipo, ovvero economico, relativa a un taglio nei costi di gestione.

Questo termine continuò poi ad affermarsi negli anni 90 quando alcune tra le più inquinanti imprese americane come, ad esempio, quelle chimiche petrolifere DuPont, Chevron e la Compagnia di Plastics Industry cercarono di proporsi ingannevolmente come eco-friendly in una fiera che si svolgeva a Washington, con lo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle pratiche tutt’altro che responsabili.

Regolamentazione

La Federal Trade Commission negli Stati Uniti è stato il primo ente a stilare, nel 2010, delle linee guida per l’utilizzo dei cosiddetti environmental marketing claims. L’obiettivo era imporre alle aziende chiarezza e trasparenza, non solo nel definire entità e portata del proprio impegno ma anche, per esempio, nelle scelte stilistiche e di linguaggio promozionale, proprio per evitare claim non veritieri.

La Commisione Europea ha effettuato un’indagine condotta su 28 stati membri che ha coinvolto un campione di 25.568 persone di diverse estrazioni sociali e differenti fasce di età; questa indagine ha permesso di scoprire che le tematiche ambientali hanno un elevato impatto sul consumatore e che ben il 77% sarebbe disposto a comprare prodotti eco-compatibili, tuttavia la confusione, la mancanza di dati sicuri e verificabili aumenta lo scetticismo verso le aziende e verso prodotti di questo tipo.

Proprio per queste ragioni è necessario tutelare il consumatore attraverso leggi e normative che impediscano alle aziende qualsiasi tipo di operazione di greenwashing.

Quali sono le norme le norme vigenti in Italia?

Da Un’indagine effettuata dal laboratorio SuM (Sustainability Management) della Scuola Superiore Sant’Anna, questa ha scoperto che su 1300 pubblicità presenti in giornali e riviste italiane, è risultato che l’84% presenta profili di rischio potenziali di greenwashing secondo gli standard ISO 14001.

In Italia fino al 2014 non esisteva un riferimento legislativo specifico per il greenwashing ma il controllo era affidato all’Antitrust sotto la disciplina della “pubblicità ingannevole”.

Oggi il greenwashing in Italia viene considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

L’Eni, il colosso energetico italiano è un esempio calzante, poiché nel gennaio del 2021 l’AGCM ha emesso un provvedimento per gli spot relativi a ENIdiesel+, diffusi tra il 2016 e il 2019. Il Tar del Lazio ha sanzionato l’azienda energetica disponendo una multa di 5 milioni di euro.

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