“Che fine ha fatto*”: il carabiniere ferito alla gola nel 2013, il brigadiere Giuseppe Giangrande?

"Che fine a fatto" è sicuramente un termine improprio nel caso del Maresciallo Giangrande. E' la rubrica che identifica vicende nuove e vecchie di cui si diradano le notizie. Non piace neanche a me, in questo caso, ci tengo a sottolinearlo.

“*Che fine a fatto” è sicuramente un termine improprio nel caso del Maresciallo Giangrande. E’ l’identificazione della rubrica di vicende nuove e vecchie di cui, nel tempo, si diradano le notizie. Non piace neanche a me, stona, in questo caso e non vuole mancare di rispetto.

Domenica scorsa passeggiando per il Centro di Roma siamo passati con i nostri figli davanti al Parlamento, oggi tutto blindato e con camionette dell’esercito. Abbiamo ricordato quanto è successo pochi anni fa proprio davanti all’entrata della Sede del Governo Italiano. Quattro anni che per quell’uomo rimasto a terra, colpito senza motivo  ha subito danni gravissimi alla spina dorsale. Date le sue attuali condizioni, questi anni hanno significato dover ricominciare una nuova esistenza, dolorosa e ingiusta.

Era il 28 aprile 2013,  il giorno del giuramento di Gianni Letta come Presidente del Consiglio. Tutti i rappresentanti Parlamentari erano al Quirinale, quando chi si lamentava per le proprie sofferenze Luigi Preiti, disoccupato che ce l’aveva con  i politici, si scagliò contro i militari di stazza davanti  a Palazzo Chigi. Aprì il fuoco contro quattro carabinieri in servizio con la sua Beretta 7,65. Per Giuseppe Giangrande, rimasto a terra colpito al collo, ma vivo, la vita non è stata più la stessa.

Lui ha sempre combattuto, dal letto di ospedale prima, da casa poi. Con fierezza e determinazione ha rivendicato per se giustizia e il riconoscimento dei suoi diritti. La pallottola ha intaccato irrimediabilmente alcune sue funzioni fisiche ma non quelle mentali.

Brigadiere, con tanti anni di servizio alle spalle, toscanaccio dalla battuta sempre pronta, è oggi un uomo ferito nel corpo, ma ancora con l’energia per risollevare le sue sorti. Vuole tornare ad usare le braccia- almeno, per essere autonomo. Sua figlia Martina, giovanissima, ha messo da parte le proprie ambizioni, per dedicarsi a quel babbo speciale. Avevano perso da poco la mamma,  la compagna di una vita per Giuseppe, oggi lei lotta accanto a lui ed è presente in ogni momento della sua giornata.

Dopo gli interventi subiti nel 2013, purtroppo Giuseppe Giangrande ha dovuto subirne altri e tanti ricoveri per le conseguenze del suo stato. La riabilitazione è lenta e difficile. Al momento riesce a muovere il collo e solo poco, pochissimo le braccia, ma senza aver capacità prensili. Fa fisioterapia, ogni mattina lo vengono a prendere per portarlo in un Centro riabilitativo. Così la figlia può pensare un po’ a se stessa e alla casa. Per lei più nessun lavoro, divertimento. Una ragazza forte, e fiera del suo babbo, ma sicuramente stanca.

Quel giorno, oltre a Giuseppe Giangrande, furono feriti altri tre militar, con conseguenze meno gravi. Vanno comunque ricordati per il loro impegno e sacrificio: Francesco Negri, Delio Marco Murrighile e Lorenzo Di Marco.

Quanto a Luigi Preiti, è in carcere, condannato a 16 anni in primo grado. Confermata la sentenza nel procedimento d’Appello e in Cassazione, nel 2015.

 

 

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