Chi sono i profughi ambientali e perché dovremmo prestare particolare attenzione a questo fenomeno

I “profughi ambientali”, anche denominati “eco profughi” o, ancora, “rifugiati ambientali”, sono persone costrette a lasciare i propri territori originari a causa di problematiche ambientali o climatiche, come eventi metereologici di grave entità o catastrofi naturali. El-Hinnawi, direttore dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente), ha parlato di “persone che hanno dovuto forzatamente abbandonare le loro abitazioni per necessità temporanee o permanenti a causa di grandi sconvolgimenti (naturali e/o indotti da mano umana) che hanno messo in pericolo la loro esistenza o danneggiato seriamente la loro qualità di vita”.

Le motivazioni ambientali, rappresentano oggi più che mai una delle cause delle migrazioni. Infatti, se da sempre le persone sono state costrette a fuggire dalle calamità naturali e dai disastri ad esse collegati, al giorno d’oggi, a causa del cambiamento climatico, si è verificato un significativo aumento di questi spostamenti. Tempeste, inondazioni, incendi, siccità e frane sono le principali cause delle migrazioni a climatiche. Il XXI secolo potrebbe essere caratterizzato dal fenomeno delle migrazioni ambientali: soltanto nel 2019 la crisi climatica ha costretto 24 milioni di persone a lasciare la propria terra. Secondo le analisi del fenomeno, le previsioni per il futuro sono allarmistiche: lo scienziato Mayer ha ipotizzato che entro il 2050 ci saranno 200-250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci saranno circa 50milioni di profughi climatici.

Da un punto di vista giuridico, il termine “rifugiato ambientale” non è riconosciuto da nessuna legge internazionale. La Convenzione di Ginevra del 1951 disciplina la fattispecie del rifugiato, prevedendo una serie di diritti per le persone rientranti in tale categoria e doveri spettanti alle nazioni per la loro protezione, ma nulla viene detto riguardo ai profughi climatici, che pertanto appaiono del tutto estranei al diritto internazionale e a schemi di tutela specifica.

Pertanto, a causa della gravità del fenomeno, i motivi ambientali e climatici dovrebbero essere riconosciuti sul piano giuridico come causa delle migrazioni, per fornire adeguato sostegno ai paesi investiti dal fenomeno e alle loro popolazioni. La disciplina dello status di rifugiato ambientale consentirebbe anche di valutare l’entità e l’evoluzione del fenomeno, attraverso lo sviluppo di programmi per coordinare le migrazioni e per affrontare le emergenze attraverso la dotazione di aiuti umanitari. Allo stesso tempo è fondamentale aumentare la sensibilità verso il cambiamento climatico e le conseguenze negative che esso provoca sull’intera umanità. La responsabilità governativa nell’aiutare le popolazioni colpite dai disastri ambientali e climatici dovrebbe affiancarsi alla responsabilità di ciascuno di noi nel prevenire questi fenomeni e migliorare le condizioni del nostro pianeta.

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