Corte EDU, boicottaggio di Israele non è condannabile

La Corte EDU, l’organo giuridico di controllo del Consiglio d’Europa, ha stabilito all’unanimità che condannare coloro che propugnano idee volte al boicottaggio di Israele consiste in una violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani, ossia quello posto a tutela della libertà di espressione.

Allo scopo di comprendere al meglio la portata di questa sentenza, appare ora utile ripercorrere brevemente gli avvenimenti legati a questo caso, così da essere in grado di contestualizzare meglio l’intervento giurisprudenziale.

Tra il 2009 e il 2010, undici membri francesi del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) si erano resi protagonisti di pacifiche manifestazioni nei pressi di un supermercato, mostrando ai clienti i prodotto israeliani che avrebbero trovato sugli scaffali e invitando loro a non acquistarli.

Tutto ciò avveniva in ottica del boicottaggio di Israele e della sua guerra nei confronti dei vicini palestinesi, guerra a cui, secondo i militanti del BDS, tutta l’Europa è troppo poco sensibile.

In seguito a queste pratiche, le autorità francesi hanno deciso di perseguire penalmente i manifestanti in parola.
Al termine di un iter giudiziario lungo 5 anni, la Corte Suprema francese confermava la loro condanna, confermando la tendenza europea a sanzionare gli autori di simili attività.

I manifestanti però, dopo aver esperito tutti i ricorsi interni, hanno adito la Corte Europea dei diritti dell’uomo, i cui giudici qualche giorno fa hanno pronunciato la storica sentenza di cui sopra.

La Francia ora pertanto, al fine di conformarsi alla fonte del diritto di rango internazionale, dovrà adottare tutte le misure idonee a rimuovere gli effetti della propria violazione.

Il judgement della Corte risulta di notevole importanza per quanto riguarda l’individuazione e la specificazione dell’ambito di applicazione dell’articolo 10.

Ricordiamo che la libertà di espressione non è un diritto assoluto, potendo quest’ultimo essere sottoposto a delle limitazioni, a condizione però che tali limitazioni siano previste per legge, che siano necessarie al raggiungimento di uno scopo legittimo all’interno di un ordinamento democratico e che risultino essere proporzionali e necessarie per il conseguimento di tale scopo.

Chiarita dunque questa premessa, appare consolidata la tesi secondo cui un obiettivo che può legittimamente giustificare la libertà di espressione consiste nel divieto di incitamento all’odio, a sua volta collegato alla sicurezza pubblica e sociale.

Nel caso specifico è palese però che i manifestanti del BDS non hanno in nessun caso propugnato odio e astio nei confronti di coloro che detengono la nazionalità israeliana. Le loro proteste si collocavano semplicemente lungo il solco dell’opposizione al conflitto tra Israele e Palestina.

Da ciò consegue che l’interferenza dello stato francese nel godimento del diritto di cui all’articolo 10 della Convenzione non risulta conforme al dettato della Convenzione (nell’interpretazione datale dalla Corte).

Il futuro ci dirà se tale sentenza riuscirà in maniera efficace ad indirizzare gli orientamenti giurisprudenziali delle altre corti nazionali degli stati membri della Corte EDU, così da avvicinarsi all’obiettivo di applicazione uniforme europea dei diritti contenuti nella Convenzione.

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