Conflitto israelo-palestinese: i nuovi attacchi e la situazione politica

Sono stati da poco sganciati razzi, da parte del braccio armato palestinese, nell’area meridionale di Israele, provocando il ferimento di otto israeliani, probabilmente in risposta a quando accaduto la scorsa notte. L’esercito israeliano, durante i raid su Gaza, ha colpito un tunnel di estensione notevole utilizzato da Hamas.

Occorre risalire al 10 maggio scorso per capire il perché della riaccensione tragica del conflitto. Il gruppo paramilitare palestinese (Hamas) ha colpito violentemente la città di Gerusalemme con un attacco missilistico, generando il panico nella Città Santa. Le motivazioni dell’offensiva sono dovute all’incremento, negli ultimi mesi, delle politiche espansionistiche di Israele: per volontà del governatore Benjamin Netanyahu, è stato di recente occupato il quartiere palestinese Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est. Molti civili palestinesi sono stati, come di consueto, sfrattati dalle loro abitazioni ormai distrutte, restando in balia del destino. Inoltre sono stati di recente feriti circa 300 palestinesi nella moschea di Al-Aqsa, per via di un attacco della polizia israeliana. Ciò che ha fatto sì che l’organizzazione filo-palestinese, Hamas, potesse crescere nell’ultimo periodo è dovuto agli innumerevoli sforzi, definiti addirittura “suicidi”, da parte di tutto il popolo della Palestina, alla ricerca di compromessi di tregua e pace con Israele. L’atteggiamento poco disponibile di quest’ultimo ha provocato la reazione anche di chi non avrebbe mai pensato di appoggiare un’organizzazione che si pensa possa essere terroristica. Il “tradimento” ha sconvolto la totalità della Palestina, provocando una reazione indubbiamente violenta della stessa. In questi giorni si sta vivendo un inferno in tutto il territorio, con Gaza colpita continuamente come di consueto. 

Nella scorsa notte un tunnel di una lunghezza stimata di “163 campi di calcio, 46 Torri Eiffel e 34 Empire State Building” è stato rinvenuto e bombardato dalla forza militare di Israele, che si dichiara ferma nella posizione di conflitto con la Palestina. Il tunnel era tra l’altro stato costruito nei pressi di una moschea e di una scuola. Le tensioni sembrano però non fermarsi qui. Nella mattinata odierna infatti, a Kerem Shalom, cittadina israeliana nei pressi di Gaza, una sfilza di razzi è stata scaraventata verso le abitazioni di alcuni tra i maggiori comandanti di alto livello palestinesi, accusati di averne fatto uso terroristico. I missili israeliani hanno centrato anche un’infrastruttura militare utilizzata dall’intelligence di Hamas. Il fatto preoccupante è che questi attacchi vanno avanti ormai da una settimana, senza margini di miglioramento. Intanto, il Ministro degli Esteri palestinese, Riad Al Malki, si esprime indignato nei confronti dell’ONU: “Ricordatevi che ogni volta che Israele sente un leader straniero parlare del suo diritto di difendersi, è ulteriormente incoraggiato a continuare ad uccidere intere famiglie nel sonno. Quanti civili palestinesi uccisi sono abbastanza per avere una condanna? Qual è la soglia per l’indignazione? Israele continua a dirvi ‘mettetevi nei nostri panni’. Ma Israele non indossa scarpe, indossa stivali militari. È una potenza occupante, e una potenza nucleare”

Intanto dall’estero arrivano inviti a un “cessate il fuoco“. Si sono così espressi i ventotto senatori democratici americani: “Per prevenire ogni ulteriore perdita di vite civili e per prevenire una ulteriore escalation del conflitto in Israele e nei territori palestinesi, chiediamo con urgenza un cessate il fuoco immediato”. Si sta continuando quindi, a mettere pressione al governatore statunitense, Joe Biden, il quale ha garantito il completo appoggio ad Israele ma resta comunque preoccupato per le condizioni dei palestinesi. La sua strategia, seppur molto complicata dato il prezzo politico che potrebbe pagare, resta ferma su una soluzione “a due Stati” e dedicare risorse per cercare di migliorare la condizione della Palestina, promettendo circa 235 milioni in ausilio della stessa. Il problema risulta però essere di una portata estremamente maggiore, di carattere socio-politico più che economico. Biden dovrà quindi cercare di lavorare anche con quei paesi come Giordania ed Egitto, coinvolti date le vicinanze. Obiettivi di libertà della mobilità in Cisgiordania o porre fine agli sfratti e alle distruzioni sembrano ancora essere molto lontani dalla portata del presidente americano.

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