Caso Cambridge Analytica: anche Brian Acton (co-fondatore di WhatsApp) aderisce alla campagna #deletefacebook

La multinazionale Facebook e il suo fondatore, Mark Zuckerberg, nell’ultima settimana stanno vivendo forse uno dei periodi più complicati dalla nascita del social network, a causa delle rivelazioni che hanno portato alla luce quello che a tutti gli effetti appare come un uso improprio dei dati sensibili di milioni di utenti ai quali ha avuto accesso la società Cambridge Analytica. Dati che, tra le altre cose, sarebbero stati utilizzati per influenzare l’opinione pubblica durante alcune importanti campagne elettorali degli ultimi anni, dal referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea all’elezione del Presidente Donald Trump.

Ecco quindi che questo nuovo caso è esploso negli ultimi giorni grazie alle inchieste di alcuni media, dal New York Times al Guardian, e si è abbattuto su Facebook e il suo amministratore delegato, con una serie di conseguenze che si stanno già verificando, comprese le performance del titolo in borsa che continua a perdere punti percentuali preziosi.

Secondo le informazioni trapelate fino ad oggi, tutto risalirebbe al 2013, quando il ricercatore inglese Aleksandr Kogan, ha creato una particolare applicazione chiamata “thisisyourdigitallife“, simile a molte altre disponibili sul web, apparentemente pensata come un quiz con domande per delineare la personalità degli utenti. In quel periodo l’app era stata creata come parte di una ricerca accademica, e per questo sarebbero stati raccolti i dati di almeno 270.000 utenti, attraverso l’accesso con i dati del profilo Facebook. In quel periodo non era ancora entrata in vigore la regola che costringeva gli sviluppatori di app terze parti a raccogliere i dati degli utenti solo dopo aver ottenuto il consenso degli stessi.

Il problema è sorto quando l’azienda di Kogan avrebbe ceduto questa enorme mole di dati, comprendente informazioni sensibili di almeno 50 milioni di utenti alla società Cambridge Analytica, specializzata in analisi di dati e marketing, violando quindi le regole di Facebook che vietano la cessione a terze parti dei dati degli utenti. Ed è proprio Cambridge Analytica che, secondo quanto emerso fino ad ora, avrebbe contribuito a influenzare l’opinione di milioni di persone in alcune campagne elettorali molto importanti, come il referendum per la “Brexit” e l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America.

In tutto questo, Facebook, in sostanza, viene accusata di non aver protetto adeguatamente i dati degli utenti, ma soprattutto si essere a conoscenza già da diverso tempo delle accuse rivolte a Cambridge Analytica e allo stesso Kogan, ma di non aver provveduto per tempo non informando gli utenti del social network di quanto accaduto. Mark Zuckerberg, nei giorni scorsi, ha pubblicato un post nel quale ammette le sue responsabilità che hanno danneggiato il rapporto di fiducia della piattaforma con i suoi utenti.

Ma questa volta il mea culpa di Zuckerberg non sembra essere stato sufficiente a placare gli animi. Non è un caso se in breve tempo la campagna promossa con l’apposito hashtag #deletefacebook è diventato virale, e sono sempre di più i personaggi pubblici che invitano gli utenti a cancellare il proprio account su Facebook. L’esempio più recente, e tra i più eclatanti, è quello di Brian Acton (co-fondatore di WhatsApp) che ha aderito all’iniziativa.

E intanto sempre di più sono le autorità internazionali che chiedono chiarimenti ai vertici di Facebook, dal Regno Unito agli USA. In questi giorni anche la procura di Roma ha deciso di aprire un fascicolo, per valutare l’eventuale coinvolgimento nel caso di utenti italiani iscritti a Facebook.

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