Burberry ha distrutto prodotti invenduti per oltre 30 milioni di euro. Ed è polemica

Negli ultimi giorni uno dei brand del lusso inglese più conosciuto e apprezzato al mondo, è finito al centro di una polemica legata alla gestione dei suoi prodotti rimasti invenduti all’interno dei magazzini. Si tratta di una questione messa in luce dalla BBC, la cui conferma è arrivata proprio dalla stessa casa di moda inglese. L’argomento, come già spiegato, riguarda i prodotti che vengono realizzati da Burberry ma restano invenduti.

In molti, probabilmente, immaginavano che accessori, vestiti e persino profumi invenduti prodotti da Burberry sarebbero finiti per essere venduti a prezzi ridotti, ma la realtà sembra essere ben diversa e, addirittura, una pratica comunemente usata dai più grandi marchi del lusso. Secondo quanto rivelato, infatti, Burberry solo nell’ultimo anno ha preferito distruggere i fondi di magazzino per un valore complessivo pari a oltre 30 milioni di euro.

Come già detto la rivelazione è arrivata dalla BBC attraverso l’analisi dei documenti di bilancio pubblicati dalla stessa Burberry. Secondo i dati, è emerso che nell’ultimo anno Burberry avrebbe distrutto capi di abbigliamento e accessori per un valore di circa 31 milioni di euro. Una cifra che, negli ultimi cinque anni, avrebbe raggiunto quota 100 milioni.

Ma cosa spinge un’azienda a distruggere i suoi stessi prodotti rimasti invenduti in magazzino? La risposta arriva direttamente da Burberry che ha rilasciato una nota ufficiale per chiarire la questione cercando di arginare la polemica. Burberry ha spiegato di adottare questa strategia, quando necessario, per ridurre gli eccessi di magazzino, adottando però tutte le precauzioni del caso in modo da non danneggiare l’ambiente e, anzi, fare in modo che la distruzione dei prodotti in eccesso possa generare energia pulita.

La motivazione dietro questa scelta sarebbe quella di impedire che i prodotti a marchio Burberry finiscano per essere venduti a prezzi ridotto o, ancora peggio, contraffatti, rischiando di creare un danno all’azienda stessa. Ma la risposta non sembra essere servita a ridurre le critiche provenienti dagli ambientalisti.

Un esempio è quello di Lu Yen Roloff, di Greenpeace, che ha duramente criticato il celebre marchio del lusso inglese perché non mostrerebbe alcun rispetto per lo spreco di risorse naturali utilizzate per produrre i suoi capi d’abbigliamento, preferendo distruggere vestiti ancora perfettamente indossabili piuttosto che rallentare la produzione per evitare di ritrovarsi con prodotti invenduti.

Se al centro delle polemiche è finita adesso Burberry, è importante evidenziare come la pratica appena descritta sarebbe seguito anche da altri importanti marchi del settore. Un esempio recente riguarda la notizia, trapelata qualche mese fa, del gruppo svedese H&M, accusata da un’inchiesta giornalistica di aver mandato all’inceneritore oltre 60 tonnellate di vestiti. In quel caso, l’azienda si era difesa spiegando che si trattava di prodotti realizzati con sostanze chimiche non in linea con gli standard aziendali.

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