Ricorre oggi il 47° anniversario dalla morte di Aldo Moro. Esponente di spicco della politica italiana ha ricoperto nel corso del tempo gli incarichi di Ministro della Giustizia, Pubblica Istruzione, Affari Esteri e Presidenza del Consiglio. La sua figura era però ingombrante, e la morte avvenuta nel 1978 è avvolta ancora oggi dal mistero.
Il rapimento e la morte
Il 16 Marzo del 1968 Aldo Moro viene rapito da un gruppo appartenente alle Brigate Rosse piazzate all’incrocio tra via Stresa e via Fani. Aldo Moro era in quel momento sulla sua Fiat diretto alla Camera dei Deputati per la fiducia al quarto governo Andreotti. Lo scontro a fuoco tra i terroristi e gli agenti della scorta è brutale, con 5 di quest’ultimi che perdono la vita.
Le ipotesi dietro al rapimento sono tante, ma solo 3 giorni dopo arriva il comunicato n.1 con le Brigate Rosse che rivendicano la loro responsabilità e lo accusano di essere “lo stratega indiscusso del regime democristiano che da 30 anni opprime il popolo italiano”.
Da questo momento, e fino alla morte di Moro, l’Italia è nel caos più totale. Vengono istituite le leggi di emergenza, così come non sono escluse neanche conseguenze estreme come la pena di morte. Il lavoro per riavere Aldo Moro vivo è serrato, opinione pubblica e istituzioni sembrano essere sulla stessa via, ma la cosa non durerà molto. In meno di un mese il vento cambia.
Nel frattempo Aldo Moro è tenuto prigioniero tra via Montalcini 8 e via Gradoli 96. Anche qui i misteri sono tanti, con gli inquirenti che entrarono nel palazzo di via Gradoli senza perquisire però l’appartamento incriminato. Sul cadavere vennero inoltre trovate tracce di sedimenti marini, facendo pensare quindi a suoi ulteriori spostamenti.
Moro comunica verso l’esterno tramite lettere private che vengono comunque analizzate dalle istituzioni. In esse cresce con il tempo il suo malumore, cerca più volte un appoggio ma capisce ben presto di essere solo.
Si ricorre anche a vicende spiritiche per trovare Moro, con Romano Prodi che riferisce alle forze dell’ordine Bolsena, Viterbo e Gradoli, ovvero le 3 parole uscite dalla seduta. Gradoli fu ricondotta ad una città e non ad una via. Nessuno saprà mai se la svista fu voluta o meno, con il mistero della vicenda Moro che si arricchisce anche di elementi sovrannaturali.
Il 29 Aprile Andreotti rifiuta categoricamente una trattativa con le BR mentre il 6 maggio le BR stesse rilasciano il conclusivo comunicato n.9 che sancisce la condanna a morte di Moro. Sarà ritrovato 3 giorni dopo in una Renault4 posta in via Caetani.
Possibilità ed incongruenze
Non sono mai tornate tante cose, tanti elementi lasciati sospesi e senza risposta, dai dettagli più piccoli a quelli più grandi.
Il giorno del rapimento ad esempio la prima telefonata alle forze dell’ordine è delle 9.03, con pattuglie già sul posto alle 9.05. Allo stesso tempo però i controlli sono stati fatti su zone lontane dall’accaduto, non circoscrivendo subito la zona interessata. 15 minuti prima del rapimento diversi testimoni avrebbero visto e sentito una motocicletta Honda sfrecciare sparando colpi in aria per dileguare le persone, così come un fotografo presente sul posto non avrebbe poi consegnato le foto di giornata alla polizia.
Inquietante anche la vicenda di Radio Città Futura, emittente che annunciò l’agguato di Aldo Moro per le 8.15. Dopo che gli inquirenti presero possesso delle registrazioni si accertarono inoltre dei vuoti di registrazione nei 10 minuti prima del rapimento.
Il mistero più grande della giornata rimane però quello delle borse. Erano 5, una con medicinali, 3 con tesi dei suoi studenti e una con documenti di valore. I documenti di rilevante importanza non sono stati mai ritrovati, con la borsa che si suppone sia stata prelevata nel trambusto, setacciata a fondo, e rimessa infine sul luogo del rapimento.
Ma nel caso non sono coinvolte solo le BR, altri si muovono in segreto e tirano i fili della vicenda. La P2 ad esempio diventa una pista dopo il ritrovamento delle liste. Sembra che il suo ruolo non sia da escludere in quanto Dalla Chiesa fu fermato da Andreotti proprio per non andare incontro al volere della loggia.
Si parla anche di un ruolo della mafia, con Buscetta che dichiarerà che Andreotti smise di cercare Moro non appena egli collaborò in qualche modo con le BR. Possibile anche un coinvolgimento della Banda della Magliana, con un falsario di nome Chichiarelli che insoddisfatto del suo compenso per la vicenda pare abbia lasciato dei documenti importanti su un taxi.
Non potevano ad ogni modo mancare le grandi super potenze dell’epoca, ovvero Russia e Usa.
Nei mesi precedenti al rapimento di Moro uno studente russo dello stesso si era fatto notare per le sue insistenti domande sulla scorta. L’ultimo rapporto tra lo studente russo e Moro fu il giorno prima del rapimento, con lo studente che successivamente si dileguò. Non è da escludere la pista del KGB.
Più fitto il ruolo degli Usa. Nel 1974 il Segretario di Stato americano Kissinger rivolge una velata minaccia a Moro, affermando che se non avesse smesso di lavorare per il compromesso storico se ne sarebbe pentito. Durante la prigionia di Moro invece gli Usa inviarono un consulente per occuparsi della vicenda. Steve Pieczenik, il consulente, affermò più volte come le azioni di Moro risultavano essere pericolose per l’Alleanza Atlantica. Doveva quindi essere eliminato. Lo stesso Pieczenik fu poi autore del “falso c.7”, ovvero un comunicato fasullo dove si preparava la popolazione agli effetti della morte di Aldo Moro.
Tra tutte le figure spicca infine quella di Andreotti. Buscetta affermò come altri mafiosi avessero riferito che volesse uccidere Dalla Chiesa per segreti relativi al caso Moro. Anche Pecorelli, giornalista dell’epoca, fece la stessa fine di Dalla Chiesa, e sempre per gli stessi identici motivi. Nonostante i tanti attori in gioco bisognava tenere oscuri gli incastri che avevano portato alla morte di Aldo Moro.
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