Al via le indagini della Cpi sul conflitto afghano

I giudici della Camera d’Appello della Corte Penale Internazionale hanno votato all’unanimità per l’accoglimento della richiesta avanzata dall’organo procuratore riguardo alla possibilità di intraprendere le indagini volte ad accertare i crimini internazionali perpetrati durante il conflitto in Afghanistan a partire dal primo maggio del 2003 e a punire, di conseguenza, i responsabili.

L’accusa aveva già provato ad ottenere l’autorizzazione in parola nel novembre del 2017 tuttavia, come si legge sul sito ufficiale della ICC, la Pre-Trial Chamber II aveva negato la richiesta in quanto, dato il lungo lasso temporale trascorso e la modifica sostanziale dello scenario politico e istituzionale del paese rendere troppo difficoltosa la raccolta delle prove sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Dunque, in poche parole, l’avvio delle indagini era stato considerato non utile alla cura degli interessi della giustizia.

Ora però, con il via libero concesso dai giudici di secondo grado, le autorità avranno l’occasione per far luce sui terribili avvenimenti accaduti non solo in Afghanistan, ma anche in altri stati (a patto ovviamente che questi siano membri dello Statuto di Roma) in cui sono state commesse atrocità che hanno avuto, in qualche modo, una certa connessione col conflitto afghano.

La notizia dell’inizio di questa inchiesta non ha al momento riscosso molto successo in Afghanistan, i cui vertici sottolineano la necessità che sia lo Stato stesso ad assicurare il rispetto e il funzionamento della giustizia per accadimenti che riguardano il loro territorio.

Al momento però le critiche più decise provengono dagli Stati Uniti. Infatti, tenendo bene a mente l’ingente impegno militare riversato in terra afghana dalle truppe americane (nell’ambito della cosiddetta “Enduring Freedom Operation”), appare concepibile, se non addirittura scontato, che le indagini del procuratore della Corte coinvolgeranno abbastanza direttamente le condotte tenute durante il conflitto dai generali e dai soldati statunitensi.

Da ciò consegue la preoccupazione del Segretario di Stato americano Mike Pompeo, il quale ha affermato che la decisione della Corte Penale Internazionale consiste in una irragionevole mossa ideata da un organo più politico che giudiziario.

Le parole di Pompeo sono senza dubbio molto dure, ma appaiono generose se messe a confronto con le minacce rivolte nel 2018 ai giudici dell’Aja dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Era da poco stata inoltrata la prima richiesta del procuratore della Corte, quando il signor Bolton tuonò dicendo che le forze dell’ordine americane avrebbero arrestato i giudici della Cpi se mai avessero avviato l’inchiesta.

Appare evidente che tutte le parti in gioco siano consapevoli del fatto di essersi resi responsabili in quegli anni di numerosi crimini internazionali di carattere sia pattizio che consuetudinario, e che di conseguenza le indagini delle autorità internazionali potranno avere come esito conclusivo pesanti condanne irrogate a diversi esponenti, tra cui anche i vertici militari come abbiamo già ricordato, delle forze americane, il che rappresenterebbe chiaramente un’onta indicibile per la reputazione internazionale degli USA.

Tuttavia non possiamo dimenticare quelle che sono state le osservazioni esternate dai giudici della Pre-Trial Chamber in sede di rigetto dell’autorizzazione iniziale. Risulta ad oggi molto difficile accertare quanto accaduto così tanto tempo fa, prendendo tra l’altro in considerazione la prevedibile mancanza di volontà da parte delle parti coinvolte a collaborare.

Non resta dunque altro che riversare quanta più fiducia possibile nell’esperienza degli organi investigativi della Corte e sperare che la giustizia possa finalmente fare il suo corso.

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