Tutti contro Donald Trump e il “muslim ban”, anche la Silicon Valley

Lo scorso novembre quando negli Stati Uniti si sono tenute le elezioni per scegliere il 45esimo Presidente USA, tutti puntavano sul candidato che i sondaggi davano per favorita, Hillary Clinton, ma al contrario il sistema elettorale presente nel paese ha portato all’elezione di Donald Trump scatenando le ire di chi ha criticato aspramente il comportamento avuto da Trump durante la campagna elettorale e le controverse dichiarazioni che si sono susseguite attraverso comizi e social network. La cerimonia di insediamento del nuovo Presidente, il 20 gennaio scorso, è stata accompagnata da numerose proteste in diverse città del paese, ma è in questi giorni che il neo-Presidente ha iniziato ad adottare parte di quei provvedimenti annunciati proprio durante la campagna elettorale. E se le prime preoccupazioni sono arrivate con lo stanziamento di fondi per la costruzione del muro con il Messico, non è da meno l’ordine esecutivo subito rinominato “Muslim Ban”, che sta generando un vero e proprio caos di polemiche da parte delle numerose voci contrarie al provvedimento.

Durante la campagna elettorale Trump aveva annunciato l’intenzione di contrastare il terrorismo bloccando l’entrata nel paese di tutte quelle persone provenienti da paesi a maggioranza musulmani, e a quanto pare sta mantenendo la promessa. L’ordine esecutivo firmato il 27 gennaio dal nuovo Presidente ha innanzitutto bloccato l’arrivo di nuovi rifugiati per 4 mesi, mentre per i rifugiati siriani il provvedimento non sembra avere una scadenza, mentre per 90 giorni verrà impedito l’ingresso a chiunque provenga da sette paesi a maggioranza musulmana tra cui Iraq, Iran, Libia, Yemen, Sudan, Somalia e Siria. La decisione è stata descritta come un provvedimento che aumenterà i controlli per impedire a potenziali terroristi di mettere piede sul suolo americano.

Il provvedimento ha inizialmente provocato molta confusione, costringendo alcune centinaia di persone in possesso di Green Card (che si trovavano in aereo per rientrare negli USA durante la firma dell’ordine esecutivo) ad essere trattenute negli aereoporti, ma in seguito è stato chiarito che il provvedimento non riguardava le persone in possesso dei permessi necessari. Intanto, però, le voci discordanti non si sono fatte attendere e se in tanti hanno manifestato di fronte agli aereoporti, molti altri sono stati quelli che hanno da subito criticato la decisione di Trump.

Il Ministro della Giustizia Sally Yates (ultima rimasta dell’era Obama) è stata rimossa dal suo incarico per aver definito illegale il provvedimento, aggiungendo che sotto la sua guida il decreto non sarebbe stato difeso in tribunale perchè contrario ai principi degli USA. Un coro unanime di condanna nei confronti del provvedimento è arrivato anche dalla Silicon Valley. Sergey Brin, co-fondatore di Google e attuale Presidente di Alphabet, si è recato all’aereoporto di San Francisco per dimostrare solidarietà nei confronti delle persone trattenute a seguito della decisione di Trump, e allo stesso modo hanno evidenziato il proprio disaccordo personaggi in vista come Mark Zuckerberg (Facebook), Tim Cook (Apple), Jack Dorsey (Twitter), Satya Nadella (Microsoft), Sundar Pichai (Google) e molti altri.

Il Procuratore Generale dello Stato di Washington ha invece deciso di passare all’azione, annunciando un’azione legale nei confronti di un provvedimento definito illegale e anti-americano.

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