Obsolescenza programmata: di cosa si tratta e perchè conviene alle grandi aziende (ma non ai consumatori)

La definizione di obsolescenza programmata, nei mesi scorsi ha avuto un particolare risalto mediatico a livello internazionale per il caso che ha coinvolto il gigante tecnologico Apple negli USA, e si può definire come una strategia adottata anche dai produttori di dispositivi elettronici per decidere al momento della progettazione la durata del ciclo di vita di un prodotto. Il colosso di Cupertino è stato costretto a scusarsi dopo la scoperta del rallentamento dei vecchi modelli di iPhone motivato dall’azienda come una pratica necessaria per ottimizzare le performance dei dispositivi.

Ma in realtà dietro questo fenomeno sembrano esserci motivazioni ben differenti che, tuttavia, colpiscono non solo le tasche dei consumatori, ma anche l’ambiente e le attività commerciali specializzate nelle riparazioni. Ed è su questo che si è concentrata la nuova puntata di Dataroom, la rubrica della giornalista Milena Gabanelli per il Corriere della Sera, che offre una panoramica generale su questo fenomeno che, in alcuni paesi, viene persino punito dalla legge.

L’obsolescenza programmata è definita come la pratica che consente alle aziende, in fase di progettazione, di rendere obsoleto o inservibile un prodotto dopo un certo periodo di anni. E’ vero che, ad esempio, in Italia la garanzia legale consente al consumatore di far riparare o se necessario sostituire un prodotto difettoso entro 24 mesi dall’acquisto, ma il problema nasce nel momento in cui il periodo della garanzia scade.

Può accadere, infatti, di dover riparare un dispositivo, che si tratti di smartphone, tablet oppure elettrodomestici. Il problema è che in molti casi la sostituzione del pezzo danneggiato costa quasi quanto l’acquisto del prodotto nuovo in negozio. In questo modo è inevitabile che il consumatore preferisca acquistare nuovamente il prodotto piuttosto che riparare quello vecchio, a beneficio delle aziende produttrici.

Come inevitabile, questo si ripercuote innanzitutto sulle attività specializzate nella riparazione dei prodotti. Non è un caso se, in Italia, nel 2000 esistevano 6000 centri di riparazione, mentre nel 2017 sono scesi a 4500. Dall’altro lato, questo problema si ripercuote anche sull’ambiente, con l’aumento costante dei rifiuti elettronici.

In Francia l’obsolescenza programmata è punita con 2 anni di carcere e una multa di €300.000. Ed è in Francia che sono state avviate diverse indagini nei confronti di alcune aziende, mentre in Italia l’Antitrust ha avviato procedimenti su Apple e Samsung per lo stesso motivo.

Ma se a livello europeo, il Parlamento ha chiesto agli stati membri di adottare delle misure che promuovano l’uso di prodotti con un ciclo di vita maggiore, in Italia non sono ancora stati presi provvedimenti adeguati. E’ vero che negli ultimi anni sono state presentate proposte di legge da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Sinistra e Libertà per chiedere l’estensione del periodo di garanzia dei prodotti a 5 anni, l’obbligo per i produttori di applicare un’etichetta con la durata del ciclo di vita dei prodotti e l’applicazione di sanzioni per chi mette in pratica l’obsolescenza programmata. Ma sfortunatamente si tratta di proposte rimaste tali, ben lontane dall’essere discusse o approvate.

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